Non sento freddo.
Guardo fisso un cartellone pubblicitario della
famosa gomma del ponte senza guardarlo realmente. Hanno fatto più danni alla
causa quelle cazzo di gomme da masticare
e la pubblicità della Coca-Cola che mille cariche della Celere.
Immobile.
Non ho paura.
Non sento freddo. Il pizzicore sulle guance e la
condensa del mio fiato direbbero il contrario.
Immobile.
Chiudo gli occhi e cerco di immaginare le mosse
successive. Ho un compito da svolgere.
Ho già ucciso. Più volte. Tocco la tasca del
cappotto e percepisco la solidità rassicurante della mia pistola. Apro gli
occhi. Devo decidermi. È il momento di entrare nell'edificio.
Su, al terzo piano, c'è l'ufficio di quell'infame
che devo ammazzare. È giusto che paghi con la morte, per quello che scrive.
Reazionario di merda, giornalista servo. Mi guardo
intorno. Nessuno.
Giornata di un inverno rigido ed è l'ora di pranzo.
Il bersaglio non mangia mai a casa, rimane nel suo studio a scrivere, si
accontenta di un panino e di una birra. Anche i bastardi si nutrono.
Salgo le scale con calma. Ho deciso di non prendere
l'ascensore. Troppo rumore. Meglio lasciare che il palazzo rimanga nel silenzio
ovattato di un mezzogiorno invernale. Pochi e lontani suoni di posate e piatti
che si scontrano, qualche risata distante, un cane che abbaia.
Il mio bersaglio sa di essere nel mirino. Più volte
lo abbiamo avvisato con lettere indirizzate al suo giornale. Non ha mai smesso
di scrivere le sue falsità. Stronzo ostinato.
Impugno la mia arma e suono il campanello: tre
volte, velocemente. È lo scampanellio di quelli di famiglia, dei collaboratori.
Pedinamenti e appostamenti servono.
Un uomo mi apre, fissa la canna della pistola con
rassegnazione. Non parla. Non parlo. Tiro indietro il cane del revolver.
Immobili.
Improvvisamente rumore, una porta che si apre,
vociare di bimbo, passi e saltelli sulle scale, una madre, forse, che urla
isterica le solite raccomandazioni.
In pochi secondi un ragazzino è accanto a me. Mi
fissa spaventato, percepisco il suono
del fiato mozzo, lo immagino.
Io e il bersaglio rimaniamo immobili.
Nella mia testa una voce: "non ti voltare,
fregatene, fai quel che devi e scappa."
Mi volto.
Con la coda dell'occhio vedo l'uomo armeggiare
dietro la cintola. In pochissimi secondi accade l'inevitabile. «Tutto bene
bambino, non avere paura.» Gli sorrido.
Poi lo sparo. Sono a terra.
Immobile.
Nelle orecchie Dust, dei Midnight Oil
Sorrido, ancora.
Ho freddo.
Buio.