scrivere per vivere vivere per scrivere

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La lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati. (René Descartes) ********************************************************************************************** USQUE AD FINEM

giovedì 19 maggio 2016

Immersus emergo. Inutili facezie in merito al ricordare


Ci sono cose che ti rimangono addosso, ti attraversano e passano, ma qualcosa lasciano. Brandelli emozionali: sfilacciati, sopiti, eco celate dal frastuono del contingente.
Alle volte rifletti su ciò che fai ogni giorno, ripensi al quotidiano, ti sembra  tutto normale. Ti senti normale. Poi ti ritrovi a parlare con amici e colleghi e ti rendi conto che di normale c'è ben poco. Magari ti capita di sederti a mangiare dopo che quella mattina hai visto morire una persona, dopo che hai respirato l'odore del sangue, della merda, del piscio. Sì, perché alle cose bisogna dare il giusto nome. Ti ritrovi a parlare con un parente che ti sottopone a una tirata di lamentele per delle inezie mentre sino a un'ora prima hai sudato e sfiatato come un mantice mentre massaggiavi un torace per far ripartire un cuore fermo.  Tutto normale? Un pezzo di cazzo.
Eppure tiri avanti, te la senti menare dalla stampa, dai cittadini indignati per i casi di malasanità, ascolti filippiche sul ruolo inutile e stratutelato dei dipendenti pubblici. Poi pensi ai sacrifici che hai fatto per raggiungere livelli eccellenti di professionalità, al lavoro quotidiano in mezzo alla morte, alla sofferenza, al dolore, alla disperazione. Alla gioia nel vedere che sei riuscito a fare qualche cosa di buono, che qualcuno sta meglio grazie a te. Allora ti butti alle spalle le amarezze. Te ne fotti, ti racconti che fare del proprio meglio, sempre e comunque, è sufficiente a ripagarti. Perché il dovere è un valore in sé, non ha bisogno di riconoscimenti o premi.
Alle volte sei a passeggio con tuo figlio e ti accorgi che non ascolti nemmeno quello che ti dice, perché magari hai fatto la notte, hai il "cotone nella testa", sei ancora stordito dai suoni ossessivi degli allarmi monitor, l'adrenalina non ti ha ancora mollato del tutto e non hai dormito bene dopo il fine turno. Oppure notizie televisive, o semplici situazioni occasionali, ti portano alla memoria cose che hai visto e vissuto. E in quasi 25 anni di sanità prevalentemente in aree critiche di cose ne hai viste.
Avete mai visto il corpo di un defenestrato, con le sue belle ossicine che spuntano da tutte le parti? Il corpo di una persona arrotata da un'auto, devastata e irriconoscibile? Ferite di arma da taglio tali da esporre i visceri? Un cranio sfondato? Un ustionato così mal messo che mentre lo tocchi ti rimangono brani di carne in mano? Oppure di assistere all'agonia di un malato terminale, essere lì, con lui sino alla fine, e guardarlo mentre la vita lo abbandona?
In qualche modo devi sopravvivere a tutto ciò. Devi andare avanti, continuare a rapportarti con persone che certe immagini le hanno viste solo nei film, e sforzarti di considerare importanti tutte le cazzate che la vita ti propina, perché la vita è fatta anche di cazzate, di cose superficiali, di leggerezza, e non è colpa di nessuno se hai scelto un lavoro che ti massacra la mente e l'anima.
 Che ti cambia.
Profondamente.
Allora ti può capitare di tornare a casa la sera, e portare a fare la nanna il tuo bambino che prima di addormentarsi ti racconta delle sue avventure quotidiane, delle piccole gioie innocenti che ha provato. Poi, nel buio, la sua manina che ti accarezza sente bagnato sulle tue guance, e ti senti chiedere: «papà, piangi? Ti ho fatto arrabbiare?»
Non gli puoi certo dire che sei felice di essere lì, di poterlo toccare, accarezzare, perché quel pomeriggio hai visto morire un ragazzo di diciannove anni con dolori così lancinanti da non trovare pace nemmeno con la morfina, che implorava e invocava la sua mamma. Ti inventi delle palle, trovi scuse, è troppo piccolo, lo tranquillizzi, gli dici che va tutto bene. Che sei solo commosso dal bene che gli vuoi.
Tutta sta manfrina perché oggi, passeggiando in un centro commerciale, ho visto due anziani che camminavano mano nella mano come fidanzatini. Non riuscivo a smettere di guardarli. L'uomo si è accorto che lo fissavo, come si conviene tra persone perbene, come usava una volta, mi ha sorriso e mi ha salutato. Alle volte a segnarti e a scandire l'orologio della memoria sono gli avvenimenti meno importanti, quelli apparentemente insignificanti. Nulla di strano, ma come dicevo, ci sono cose che ti rimangono addosso. Dentro.
Anni fa, negli anni di servizio in Pronto Soccorso, mi è capitata una di quelle situazioni apparentemente banali, routine:
Ero in triage, la solita calca. Una di quelle notti che ti sembrava di essere in pieno centro, di giorno, all'ora di punta. Arriva l'ennesima ambulanza, scende per primo un milite che conosco, mi guarda e scuote la testa. Capisco, mi scuso con il paziente che stavo trattando per un trauma distorsivo e con il mio collega mi avvicino alla barella che intanto era stata scaricata. Ci vuole meno di un secondo per constatare la gravità: un paziente molto anziano con un'importante crisi respiratoria. Semiseduto sulla barella, con una mano avvinghiata alla mano della moglie. Lei, con una mano lo teneva e con l'altra lo accarezzava mormorandogli qualcosa. Il mio collega mi dice di occuparmi della burocrazia, nella sala dei codici rossi ci sarebbe andato lui. Le decisioni sono sempre repentine e non si discute mai, si agisce. L'ho odiato, preferivo di gran lunga l'azione piuttosto che quello che mi attendeva. Mentre si allontanava con il paziente mi ha guardato come a volersi scusare per la fregatura. Ho mormorato un vaffanculo tra i denti.
Porto con me la signora, la faccio sedere. Le chiedo i dati anagrafici del marito. Il mio tono è pacato, lei piange. Non la guardo, non so perché ho paura. Io non ho mai paura. È strano. Mi poggia una mano sul braccio. Sento il calore del contatto, la ruvidezza della sua pelle. Alzo lo sguardo verso di lei.
«Mio marito ce la farà. È un uomo forte. Ha fatto la guerra. Ha lavorato una vita intera.»
Sento la stretta sul mio braccio farsi più intensa. Come a voler comunicare ben altro delle semplici parole. Con la coda dell'occhio mi rendo conto che, a parte il pianto, è tranquilla, composta. Dignitosa. Mi osserva mentre raccolgo informazioni sui precedenti e sulle patologie note del marito.
La guardo anche io. Finalmente la vedo, veramente. Una donna anziana che si fa forza. Una combattente. Un viso intagliato, solchi nella carne che raccontano di vita vissuta. Di figli cresciuti con sacrificio. Di lavoro. Di nipoti da amare. Rughe che parlano di antichi sorrisi, di pianti, di gioie e di amarezze. Capelli soffici, bianchi, che ti viene voglia di accarezzare.
Mentre si asciuga le lacrime mi dice: «lei è stanco. Mi dispiace per tutto questo disturbo.» Il tono è quello di una madre, la stessa dolcezza che solo le madri possono avere.
La fisso, questo è troppo. Mi sale un groppo alla gola che ricaccio indietro a fatica. Lotto.  Combatto. Dentro di me penso: " ma tu che cazzo ne sai, sono stanco, sì. Ora vorrei essere in Sala Rossa a insufflare ossigeno, a compiere tutte le manovre necessarie per riprendere tuo marito. E invece sono qui. A guardare te. Dolcissima. Addolorata. Che nel tuo dramma trovi il tempo di preoccuparti di uno sconosciuto che sta solo facendo il suo lavoro. Vieni qui e mi scuoti l'anima con la tua bellezza, la bellezza che solo i vecchi che hanno visto tutto possono avere. Mi scuoti con la tua bontà."
Terminati gli aspetti burocratici, la invito a seguirmi. In prossimità della sala rossa mi accerto di com'è la situazione. Un collega a bassa voce mi dice che il paziente è stabile. Faccio segno alla donna di avvicinarsi. Le dico che può entrare a salutare il marito prima che organizziamo per il ricovero. Lei tentenna. Mi guarda. Poi mi prende per mano. Entriamo insieme. Roberto, il mio collega, scosta la tenda e riusciamo a vedere il paziente. La donna lascia la mia mano, quasi in punta di piedi porta la sua sul mio volto e mi da una carezza. Non dice nulla, muove solo il capo su e giù. Leggo nel gesto un grazie che mi scalda. La lascio andare dal suo uomo. Me ne torno in triage.
Vengo accolto da un sonoro vaffanculo da parte di un ragazzotto accompagnato dagli amici, alterato forse dall'alcol o chissà da cos'altro.
 «Che cazzo, è tre ore che aspetto, qui si può anche morire.»
Sorrido a quell'imbecille. Con un tocco sulla spalla ringrazio la collega che nel frattempo mi ha sostituito. La giostra riprende. Quella, come molte altre, sarà una lunga notte. Non ripenso più a ciò che è accaduto. Solo dopo, a distanza di tempo, come per molti altri episodi, ho raggiunto una nuova consapevolezza.
Ecco, solo un piccolo sfogo, oppure un racconto di fantasia, magari ricordi, chissà, comunque nulla di che.

Piccole tessere di un mosaico colorato, macchiato qua e là, ma non tanto. Tasselli che disegnano vite, sogni, speranze, gioie.



© 2016 di Massimiliano Riccardi

60 commenti:

  1. Racconti uno spaccato professionale che tutti dovrebbero sempre tener presente, se non nel momento del bisogno (paura, confusione, agitazione) almeno successivamente. Sono molto vicina a chi opera nel tuo settore, perché so perfettamente che non tutto è dovuto. Ma c'è anche chi ha avuto LA possibilità della vita e si è completamente dimenticato dell'ambulanza che quasi quotidianamente lo trasportava per terapia nel capoluogo di regione, figurarsi il resto. Lo dico con amarezza.
    Patisco molto questi argomenti, per cui scusami per la brevità ;)

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    1. Grazie Glò. Sono argomenti delicati.Capisco bene quello che intendi.Sono anche consapevole che non tutti capiranno il senso di quello che ho scritto. Ma io sono un cialtrone, me ne frego e metto la testa sul ceppo. Ho il collo duro, si spunta la lama. E' un momento un po' del cavolo, mi andava di lasciarmi andare. Grazie Glò.

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  2. Non farebbe per me... uno dei miei peggiori incubi è l'idea che 56 anni fa avrei potuto sbagliare mira e nascere in una famiglia dove uno o entrambi i genitori sono medici o simili ;-)

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    1. Capisco bene. Io stesso ho preso la decisione passati i vent'anni. Lavoravo, stavo bene... poi... folgorato sulla via di Damasco.

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    2. Strana coincidenza con la vita del mio personaggio della Blog Novel, Massimo, che ho concepito prima di conoscerti. Anche lui dopo i venti anni, folgorato sulal via di Damasco, ha preso la decisione di lavorare in ospedale.

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    3. Ma io e te ci siamo già incontrati, in un altra dimensione sensoriale, durante qualche esperienza sciamanica. Magari con un oceano di mezzo a dividerci, ma è così :)

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    4. Pensavo avessi almeno 10 anni di meno, Ivano. :)

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    5. E' un uomo molto anziano :D Vaga per la Maremma, vecchierello canuto e bianco, alla ricerca del tempo perduto invocando Swann.

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  3. Capisco perfettamente. Io sono stato più volte in ospedale da ricoverato e tante volte anche da accompagnatore di parenti malati. Il ritornello che ho sentito più spesso nell'aria era "che schifo", "non funziona niente qui", eppure personalmente posso dire che i problemi di salute che avevo me li hanno sempre risolti, e anche i miei famigliari ricoverati sono sempre stati curati. La gente tende a lamentarsi, a contestare "a prescindere", è un po' la mentalità nazionale.

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    1. Ma sì Ariano. Alla fine la differenza la fanno i singoli individui, io ho ancora molto da imparare e si cresce sempre. Mai come in certi ambienti i piccoli ingranaggi, anche arrugginiti e talvolta poco oliati, diventano fondamentali.

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  4. Che pagina colma di dolore questa tua ... è un lavoro molto difficile il tuo .. sopratutto lasciare tutto quel dolore appeso al camice ... difficile staccare la sofferenza che ti avvolge ...negli ultimi 30 anni abbiamo varcato spesso quella soglia per la mia famiglia ...e di persone come te ne abbiamo incontrate tante ..sopratutto le riconosci .. le senti ... e ti rimangono nel cuore, sei grato a Dio perchè esistano ... grazie per essere così anche se è faticoso ... sei molto d'aiuto .... un abbraccio grande

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    1. Grazie Giusi, come ho scritto alla fine, nulla di che. Penso solo che quando si ha a che fare con le persone bisogna avere rispetto, voglia di fare. Il resto viene da sé.

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  5. E cosa si può rispondere dopo un post così? Speranza. Speranza che non sia un racconto, anche se te lo auguro profondamente per molti motivi.

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    1. Hai detto la parola giusta: speranza. La speranza è quella che ti permette di rimanere in piedi, gambe ben divaricate e salde in attesa del tuo destino. Non importa se intorno a te c'è un mondo di rovine.

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  6. Quello che hai scritto mi è rimasto addosso. Dentro.
    Ciao.

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    1. Un abbraccio Iara, grazie. Ma davvero eh, non per modo di dire.

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  7. Max.... ho sentito dire che go eroi sono solo al cinema....
    No! Esitono! Sono persone comuni che fanno un lavoro difficile, un lavoro che gli entra dentro... che gli si attacca alla pelle e non si scolla più... sono PERSONE come te!
    Ed io nel corso della mia vita ne ho conosciuti...
    Un grazie a te e a tutti quelli come te!

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    1. Tu sai. Tu hai vissuto certe cose. Tu mi capisci. Hai provato sulla tua pelle il bello e il brutto di quello che racconto. Un bacio grande.
      P.S. gli eroi esistono, ma io non sono tra loro. Cerco solo di fare l'infermiere con passione. Eroe? Naa, sono altri gli eroi.

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    2. Sai Max, nell'immaginario collettivo un eroe è superman... Stallone...
      No! Gli eroi degni di tale nome sonno le persone che vivono la loro vita di tutti i giorni dedicandone una parte agli altri.... sono quelle persone che svolgono certi lavori,, che lottano a fianco di chi non può lottare (e senza fucili o pistole).

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    3. Ecco, hai colto il punto, credo. Una cosa che mi smuove è proprio la voglia di lottare per chi non può o non riesce a lottare. Sin da ragazzino, come quando facevo a botte nei vicoli di genova con i bulli che se la prendevano con il "ciccione" di turno, lo "sfigato secchione" di turno ecc... Certe guerre le faccio mie.

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  8. Max grazie anche da parte mia, le persone con la tua sensibilità e la tua ruvida forza rendono più degna l'umanità
    grazie ancora per quello che fai e per le emozioni che ci regali
    flora

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    1. Grazie Flo. Toglimi una curiosità, ma io e te ci conosciamo personalmente?

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    2. no Max, non ci conocsciamo personalmente, ci ha fatto incontrare virtualmente Patty e poi ti ho conosciuto attraverso il tuo libro, ci siamo sentiti per mail più volte
      aspetto una nuova pubblicazione, ci sarà vero?

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    3. Cavoli, mi sembrava il tratto di persona conosciuta, ecco. Mi sono fatto ingannare dal fatto che nella mail usi il nome completo. Un abbraccio grande Flo.

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  9. Avrei voluto leggerlo tutto d'un fiato, ma le lacrime mi offuscavano la vista...è vero Massi, tutto ciò che hai scritto...racconto...realtà. Forse so. Chi non sa...è purtroppo, non solo chi è dall'altra parte, chi non riesce a capire che a volte è dura ripartire nella routine...ma persino chi in quei panni ci vive tutti i giorni...chi schifa quella mano sulla guancia...e pensa che questi sentimenti siano per deboli...Noi no...non siamo così! E sono felice di non esserlo...grazie per quello che hai scritto...e che sei. Collega!

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    1. Grazie Tati. Anche tu ne sai di queste cose. Chi dopo tanti anni non ha capito, bè... mi spiace per loro. La nostra è una professione che va oltre i tecnicismi, quelli si imparano, alla fine tutti imparano. Il valore aggiunto è capire le persone, capire noi stessi. Siamo sul filo di una lama di rasoio, in bilico tra l'odio e l'amore. Non è colpa nostra, vediamo troppe cose, viviamo troppe situazioni. Siamo tutti stanchi. Stufi. E' difficile non scivolare dalla parte del rancore, dell'auto commiserazione, degli atteggiamenti rivendicativi. E' difficile. Io lo so. Non ho nulla da insegnare. Mi considero ancora un "praticante" della vita. La strada è lunga, ma ne avremo da raccontare ai nostri nipoti :)

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  10. Mi hai fatto salire la lacrime agli occhi con il tuo racconto. Che lavoro difficilissimo fai, Massimiliano, io non potrei mai. Mio padre avrebbe voluto che studiassi Medicina, ma so che sarei stata una pessima dottoressa o una pessima infermiera. Proprio stamattina sono andata a fare una visita di controllo in un ambulatorio - pieno di pazienti anziani - e una vecchina all'accettazione insisteva per pagare un caffè all'impiegata. "No, signora. Davvero, ci mancherebbe," rispondeva l'impiegata. "La prego. Tenga un euro per il caffè." "No, davvero. Lo tenga lei. Grazie lo stesso, come se l'avessi accettato". Era una signora anziana dall'aspetto dimesso, eppure ha avuto questa premura. Mi sono quasi commossa, e lo stesso l'impiegata. Sono piccole cose che ricordano che siamo esseri umani, ogni tanto.

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    1. Ciao Cristina, grazie per le belle parole e per il tuo aneddoto. Comunque sì, l'unica cosa che non dovremmo mai dimenticare è proprio che siamo esseri umani. Di una sola e unica razza: la razza umana.

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  11. Un post intenso,bello di quella bellezza che solo i racconti di vita vera hanno. Hai regalato un pezzo della tua anima e ti ringrazio,per il post e per il tuo lavoro.

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    1. Grazie Cara Malù, solo piccoli sfoghi, tutto qui. Grazie di cuore per le belle parole.

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  12. Ho letto a più riprese, perché ci sono stati momenti che non ce l'ho fatta a proseguire tutto d'un fiato. Alla fine avrei solo voluto abbracciarti forte. Per ringraziarti di essere così come sei, uomo e professionista con tutta la forza dei tuoi limiti.
    Con tutta la tua rabbia e la tua dolcezza. Forse avrei voluto incontrarti quando ci sono stati gli uragani, ma tu sai bene che non tutti nella tua professione sanno riconoscere l'altro e la sua sofferenza.
    L'immagine dei due anziani che si tengono ancora per mano fa parte del mio carico di sogni. Grazie per averci parlato di te quasi nudo.
    Un abbraccio grande.

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    1. Mariella, cavoli. Che commento. Dolcissima e generosa. Ho solo espresso un pensiero comune tra noi che ci "smazziamo" con gioia tutte le vicende umane più scabrose e che saliamo alla ribalta solo quando qualche essere ignobile commette dei reati. Ricambio di cuore l'abbraccio. Grazie.

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    2. A me non sembra di avere scritto nulla di speciale. Sono sorpresa di trovare così grande sensibilità in una persona che fa un mestiere tanto complicato. Soprattutto perché la stragrande maggioranza di tuoi colleghi che mi è capitato di incontrare in molteplici occasioni poco allegre della mia vita (che sarebbe inutile e noioso raccontare) non mi hanno mai dato idea che lì,spostato verso destra al centro del torace, ci fosse un cuore che battesse anche dentro di loro.
      Mah, che dire, sarò stata sfortunata.
      Ti riabbraccio.

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    3. Ciao Mariella ti ho risposto come ti ho risposto proprio perché leggendoti ho capito esattamente a cosa ti riferisci, e nonostante questo hai dato credito ai pensieri che ho espresso, da amica, sulla fiducia. L'ho trovato molto bello. Cosa dirti, nel petto di ogni persona batte un cuore, purtroppo in alcuni è un po' più nero, vuoi per la cattiveria o per l'indifferenza (che è peggio), queste persone svolgono tutte le professioni e hanno ogni tipo di rapporto sociale. Nello specifico del mio ambito andrebbero appesi per i coglioni. Per fortuna negli ospedali dove io ho lavorato ne ho incontrati pochi rispetto alla casistica di migliaia e migliaia di relazioni professionali che ho accumulato in quasi 25 anni. Ovvio che il singolo individuo che ha avuto delle brutte esperienze ha una casistica numericamente insignificante ma per lui che l'ha vissuta drammatica e assolutamente significativa. Mi dispiace tanto, te lo dico con il cuore. Ogni anno vengono fornite milioni di prestazioni sanitarie, non è un modo di dire, milioni, quando qualche pezzo di merda mantiene comportamenti degni di risaltare alla cronaca o semplicemente è cafone, lede i pazienti e tutti i colleghi che lavorano bene e con dedizione. La stupidità, l'ignoranza, la cafoneria, la cattiveria, sono trasversali. Riguardano tutti.
      Anche io ti abbraccio. Ti abbraccio sì.

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  13. Bellissimo post. Mi sono emozionata e commossa leggendolo, credimi. Io se mi faccio un taglietto mentre apro una scatoletta di tonno svengo per la paura, quindi non riuscirei a fare il tuo lavoro. Per questo ammiro profondamente chi riesce ad assumersi la responsabilità della vita altrui, con umiltà e forza d'animo. Sei una bella persona, Max. Davvero.

    Io sono fortunata: a parte una volta che mia sorella mi ha chiuso una porta in faccia durante un litigio (6 punti!) non sono mai stata in ospedale se non per accompagnare gli altri. Mio marito, soprattutto. Che si rompe un osso ogni sei mesi: ormai nel PS di Sanremo c'è una sedia con il suo nome. Ho però due zii e tre cugini medici, mamma e altro zio farmacisti, patrigno medico anche lui. La frase che mi sento dire di default? "Stai tranquilla che non hai un cazzo"... Spero che tu con i tuoi figli sia più tollerante: può capitare che non vogliano andare a scuola, chiudi un occhio! :-D

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    1. Grazie Chiara, sono contento che il post ti sia piaciuto, devo dire che ero titubante in merito al pubblicarlo o meno. In merito a a quello che hai raccontato: azzarola sei punti per una portata in faccia... mica male la sorellina. Mi viene in mente quando da bambino erano botte da orbi con le mie sorelle. Tuo marito è per caso un motociclista? Perché io che lo sono da sempre mi sono rotto qualunque cosa. In merito ai figli... tasto dolente, generazione di cialtroncelli. Ma più di tanto non posso dire, altrimenti mia madre mi sgama e racconta dei miei trascorsi poco lusinghieri. Marinavo a oltranza, falsificavo il libretto delle giustificazioni, non studiavo, pensavo solo alle ragazze. Capo cialtrone Augh!

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    2. No, non è motociclista. Da quando lo conosco però ha avuto: un incidente in scooter in cui si è rotto naso e zigomo (non guidava lui), incidente in auto in cui si è rotto una costola (nemmeno stavolta guidava lui), due fratture alla mano a distanza di 4 anni l'una dall'altra e frattura al polso cadendo dalla bici per colpa di un'auto. Dulcis in fundo due settimane fa è di nuovo caduto dallo scooter facendosi male a un piede... ;)

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    3. Hahahahaha mia moglie, come te, elenca in tono rassegnato le mie disavventure scheletriche. Fratelli in osteosintesi, io e tuo marito

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  14. Leggendo mi sono emozionato e commosso, da oggi ti rispetto ancora più di prima.

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    1. Ussignur Nick, grazie, ma è stato solo un piccolo sfogo. Il rispetto prima di tutto, di chiunque. Nella mia professione è doveroso e dovuto, ma vale anche per tutti gli altri. Senza quello c'è solo volgarità e grettezza a prescindere degli studi fatti e della classe sociale. Mia nonna che mi ha cresciuto, e che ha fatto a malapena la seconda elementare e non parlava nemmeno l'Italiano, questo mi ha insegnato. Un abbraccio, portentoso Nick.

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  15. Caspita Max mi ha fatto piangere, ripensando agli infermieri e infermiere del DH in oncologia che ho incontrato, ai dottori , ad un medico angelo del pronto soccorso quando ho avuto la trombosi , sì è vero è il loro , anzi il vostro lavoro ma un paziente capisce quando oltre alla professionalità c'è anche l'umanità nel fare il vostro mestiere. Ricordo alla mia prima chemio ero spaventata a morte e l'infermiera ha aspettato un attimo e mi ha preso la mano . Ora quando la incontro ci abbracciamo.

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    1. Grazie Azzurrocielo. Grazie davvero. Purtroppo, come ci sono in tutte le professioni, esistono anche coloro che non si comportano bene. Viviamo il pregiudizio di chi ha subito danno o inefficienza, ma lì è comprensibile, purtroppo anche l'immagine di chi ha una visione stereotipata e parla tanto per parlare. Grazie per la tua testimonianza. Un abbraccio anche da me.

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    1. Ciao Andrea, grazie. Non è forza. E' training autogeno :) Scherzi a parte, solo sfoghi da scribacchino improvvisato.

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  17. Scrivi cose che scuotono dal profondo e lo fai con una sensibilità non comune, Massimiliano.
    Capisco il tuo stato d'animo. Quando ero volontaria alla Croce Rossa mi sono capitati un paio di interventi che non posso dimenticare: un incidente stradale e un signore calpestato dal suo cavallo. Ho sempre avuto la forza per affrontare la drammaticità del momento, ma poi a casa piangevo sempre: so che un lavoro del genere mi ucciderebbe alla lunga, per questo ne ho scelto un altro nella vita!
    E ricordo anche un trasporto in ospedale di una donna anziana che si era sentita male in casa: le tenevo la mano e le davo coraggio carezzandole la testa. Lei mi ha voluto con sé al Pronto Soccorso, mi ha detto "tu hai il sorriso di un angelo" e io, questo, non lo scorderò mai.
    Anche tu sarai l'angelo di chissà quante persone!

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    1. Grazie Marina, allora hai avuto anche tu "il battesimo del fuoco". La vera lotta credo sia nell'impedire a se stessi di ritenere routine i fatti drammatici che ti ritrovi sotto gli occhi ogni giorno, e di continuare a ritenere importanti i piccoli disagi dei pazienti. Ogni giorno è un giorno nuovo e ogni persona è un mondo a sé, l'auto compiacimento è un nemico da temere. Molti dei miei colleghi ci cadono come salami. Passo dallo "scaricare" un paziente in fibrillazione all'aiutare qualcuno a lavarsi con lo stesso sentimento, ci provo almeno. In merito all'angelo, no non credo, però spesso i miei pazienti ridono, anche quelli mal messi, si fidano, si aprono.

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  18. Ammiro la tua consapevolezza e il tuo discernimento senza fronzoli.
    Cristiana

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    1. Grazie Cristiana. In effetti spesso si è chiamati ad agire punto e basta ... senza fronzoli. I modi diventano alle volte bruschi quando c'è di mezzo il rischio della vita, ma nel cuore bisogna sempre mantenere la pietà umana, quella è la parte più difficile.

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  19. Questa meraviglia di post caro Massi mi è più vicino di quanto tu possa pensare. Io immersa in una famiglia di medici , figlia di un chirurgo, io che volevo fare pure chirurgia e ho fatto lingue, io che volevo a tutti costi entrare nel mondo della sofferenza e ho fatto la crocerossina volontaria, io che ho visto , vissuto , sofferto, gioito su sprazzi di vita e di morte, che ho partecipato da spettatrice alle vittorie di mio padre e da paziente o da inerme persona che attende un miracolo dai medici per un suo caro...tutto ho provato credimi e sono ricordi che mi restano attaccati come cerotti, malgrado la musica, la danza , le cose belle e..tutta la vita...perchè anche questo fa parte importantissima di questa mia vita...
    Ti stringo forte!

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    1. Nella. Mia cara Nella. So che hai fatto le tue battaglie. Per te stessa e per chi hai amato.Ho voluto sottolineare non tanto i fatti drammatici o entusiasmanti che ho incontrato in tanti anni, ma piuttosto la fuggevolezza di uno sguardo, quello sguardo che ti fa ricordare chi sei e cosa devi continuare ad essere nella vita.
      Un bacio enorme.

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  20. Ieri durante una escursione ho incontrato due anziani seduti sugli scalini di un fienile, A riposarsi delle fatiche della fienagione.
    Lei aveva solo due denti mentre lui era un bell'uomo, compatibilmente con l'età. Ho chiesto loro il permesso di scattare una foto, perché erano troppo belli.
    E infatti è venuta una gran bella fotografia, come solo gli anziani e i bambini.

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    1. Grazie per la visita Silvia. Contesto e fotografia molto interessante. Hai rubato un pezzettino della loro anima, oppure tu hai donato una parte della tua valorizzando e fissando il momento. In ogni caso un bella cosa.

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  21. Sempre rispetto e ammirazione per un lavoro come il tuo che scuote l'anima ogni giorno.. certo la sensibilità aiuta, ma rende anche tutto permeato di pensieri coinvolgenti, di frastuono interiore, e capacità, comunque, di cogliere sfumature che sfuggono ai più. Hai a che fare con persone ancor più indifese, che si affidano. E affidarsi è un gran bel dono. Che tu meriti ampiamente. Grazie a te, e a Mariella per l'ottima indicazione.

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    1. Grazie Franco, per la visita e per le belle parole che hai voluto spendere. Come dicevo... solo un piccolo sfogo, nulla di che.

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  22. Dopo un post del genere, bisogna riprendere fiato.
    'azz ... che botta!!!
    Intenso, forte, vero.
    Stupendo!
    Bravo Massimiliano.

    P.S. Per fortuna non sono stata tante volte in ospedale, ma, quando è capitato, io ho sempre e solo trovato gentilezza, cortesia, professionalità. A partire dalle signore delle pulizie per arrivare ai primari. Il mio giudizio è assolutamente positivo. Certo Trento non è una grande città, forse questo cambia le cose.

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    1. Grazie Federica, qui mi sono lasciato un po' andare, ci ho messo il cuore. Grazie davvero per i bellissimi complimenti.

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  23. Grazie Massimiliano, il tuo bellissimo post si integra perfettamente con i miei pensieri sulla salute pubblica, sull'importanza che sia un diritto per tutti e sulla necessità di un giusto riconoscimento - economico, ma anche di opinione pubblica - a chi fa un lavoro indispensabile come il tuo.

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    1. Grazie a te Silvia. Quello che non dovremmo mai stancarci di ripetere è che siamo esseri umani, cosa data per scontata ma non appieno compresa a quanto pare. L'afflato che ci unisce tutti è forse l'unica sensibilità da coltivare se vogliamo un mondo migliore.

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  24. È un bellissimo racconto, non importa se c'è parte di esperienza, parte di elaborazione successiva, magari qualche aspetto involontariamente romanzato. Quel che conta è la realtà che ne esce, intesa come racconto di esperienze reali, vissute aulla pelle. Quelle esperienze che ti rendono una persona umana, forse, un po' più della maggioranza delle altre.
    Devo però con rammarico constatare che non tutti quelli che fanno il tuo lavoro si presentano con questi livelli di umanità.
    No so, forse hanno vissuto cose che voi umani... o magari si sono stancati di quella vita o magari ancora ci si sono trovati non per scelta consapevole ma perché la vita li ha portati li, contro la loro consapevolezza, prima ancora della loro volontà. Fatto sta che quando se ne incontrano, e purtroppo tra parenti, genitori e di persona durante i vari ricoveri, qualcuna di quelle persone mi è capitata sul cammino.
    E in quei casi, al di la di tutto, un bel vaffanculo formato famiglia se lo sono risparmiato solo perché in pubblico mi sforzo di mantenere un contegno educato (per fortuna di solito ci riesco). E, di nuovo, per fortuna sono molto pochi suoi colleghi come quelli di cui parlo. Per il resto fate davvero un gran lavoro!

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    1. Rispondo con colpevole ritardo. Ti ringrazio per le belle osservazioni che hai voluto regalarmi. Per il resto, devo dire che il racconto è veritiero, persino banale. Sono concorde sul fatto che sono moti, troppi, gli episodi sgradevoli che capitano nel mondo ospedaliero. È anche vero che la maleducazione e l'insofferenza sono fenomeni trasversali e riguardano tutte le professioni e, ancor prima, le categorie umane. Un caro saluto, mi spiace non poter dare un nome a chi mi scrive.

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