scrivere per vivere vivere per scrivere

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La lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati. (René Descartes) ********************************************************************************************** USQUE AD FINEM

lunedì 29 dicembre 2014

Guest Post: Memoria e resurrezione degli io nell’opera letteraria di Marcel Proust e Henry Miller di Ivano Landi

Il progetto è arrivato alla sua conclusione e oggi si tirano le somme, io, per puro piacere personale ripropongo il post di Ivano Landi, al di fuori di tutto, resta un lavoro magistrale.


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Guest Blogger: Ivano Landi - Memoria e resurrezione degli io nell’opera letteraria di Marcel Proust e Henry Miller


Con vero piacere accolgo l'invito lanciato da "Blogger and Blog" 

e ospito come Special guest Blogger Ivano Landi. All'iniziativa partecipo a mia volta come guest blogger nel sito di Cercatore di favole, il mio post lo trovate QUI.
La tematica è importante e devo dire che rientra nel mio personale gusto letterario. Trattazione lucidissima. Ivano ha volato alto come solo le menti libere possono fare, ringrazio per questo post meraviglioso. In fondo di cosa si tratta? Siamo quattro amici che chiacchierano e dissertano su libri e autori, bene o male non importa. Questa è cultura, quella vera. Fuori dai circuiti accademici che se la cantano e se la suonano tra loro. 
Non aggiungo altro, lascio che sia lui a parlare. Gustatevi questo articolo interessantissimo.
Massimiliano Riccardi

Memoria e resurrezione degli io nell’opera letteraria di Marcel Proust e Henry Miller 
di Ivano Landi


Il solo tipo di memoria che desidero conservare è la memoria di tipo proustiano. Mi basta sapere che esiste questa memoria infallibile, totale, esatta.
(Henry Miller, I libri nella mia vita)


Ciò che si disperde quando la memoria apre porte e finestre è quel che non è mai esistito tranne che nel terrore e nell’angoscia.
(Henry Miller, Ricordati di ricordare)


Non essendo io un grande fruitore di critica letteraria non faccio molto testo, ma non ricordo che mi sia mai capitato di trovare accostati tra loro i nomi di Marcel Proust e Henry Miller. Eppure che il romanziere francese sia stato uno dei modelli letterari dello scrittore americano, come testimonia anche la prima delle due citazioni riportate sopra, è fuori discussione. Per questo, nel presente articolo, ho scelto di porre la mia attenzione più sull’affinità essenziale tra i due scrittori che sulle numerose differenze di superficie. Per cominciare, entrambi loro condividono una prima forte consapevolezza: lo scrigno del tesoro è nascosto nel passato, e non in chissà quale passato storico ma nel passato individuale di ognuno. Una consapevolezza che ha il duplice effetto, da un lato di “costringerli” ad adottare il punto di vista autobiografico nella scrittura, dall’altro di metterli fin da subito davanti a un problema che deriva proprio da questa obbligatorietà, ossia alla conseguenza di doversi occupare di cose abbastanza lontane da quella che era, ai loro occhi, la realtà più autentica.
  
Ho cominciato la mia carriera di scrittore col proposito di dire la verità su me stesso. Che compito fatuo! Che cosa può esserci di più fittizio della storia della propria vita?

Così scriveva Henry Miller nel 1950, all’apice della sua maturità di scrittore. E tuttavia, una volta assodato che lo scrigno del tesoro è nascosto nel proprio passato, se si vuole disseppellirlo non c’è altra scelta che scavare. E quale strumento di scavo si può utilizzare se non la memoria?
Sembra una conclusione ovvia, ma ecco che insorge subito un nuovo problema. E stavolta do la parola a Proust:

E’ fatica inutile cercare di evocare il passato, in quanto tutti gli sforzi della nostra intelligenza sono vani.
E allora le oltre tremila pagine del romanzo Alla ricerca del tempo perduto, tutte dedicate al passato, da dove saltano fuori? Come le ha concepite Proust, se ogni sforzo dell’intelligenza di evocare il passato è destinato a un inevitabile insuccesso?
Cercherò di mostrarlo, ma per gradi, cominciando proprio dalla ricerca di alcune analogie tra le creazioni letterarie più importanti dei due scrittori protagonisti dell’articolo.

Tra le opere di Miller, la trilogia della Crocifissione rosea è senza dubbio quella che osa avvicinarsi di più, anche per corposità, alla Recherche proustiana. Ma le accomuna anche il loro essere, entrambe, opere incompiute. Proust non ebbe il tempo di riscrivere, come avrebbe voluto, gli ultimi due volumi del suo monumentale romanzo, e riuscì solo a dettare, dal proprio letto di morte, il racconto di un’altra morte, quella dello scrittore Bergotte. Miller, da parte sua, non portò mai a termine, com’era nei suoi piani, la seconda parte di Nexus. Fu forse troppo precipitoso nel dare alle stampe la prima parte, che si presenta in effetti come un’opera dimezzata nelle proporzioni rispetto ai primi due volumi della trilogia? Precipitoso allo stesso modo di Proust che, tre decenni prima, aveva dimostrato un’eccessiva fretta di morire?  
Un’altra caratteristica che accomuna le due opere è che entrambi gli scrittori le consideravano un tutto unico e solo le esigenze editoriali li avevano costretti a pubblicarle divise in più parti.
Miller testimonia il fatto in una lettera all’amico scrittore Lawrence Durrell:

Non dipende da me se questi volumi vengono stampati separatamente. Io avrei voluto tenerli fino a quando avrei finito di scrivere l’ultima pagina. Ma Girodias mi supplicò e io cedetti.

Ma, come ho detto, a dispetto di questa e altre dichiarazioni di buona volontà, Miller non appose mai la vera parola fine alla sua trilogia.
 Vale inoltre la pena di trascrivere qui un’altra parte della stessa lettera milleriana, molto importante ai fini di questo articolo; non prima di avere però specificato che Durrell aveva da poco espresso, in una lettera indirizzata all’amico, un giudizio molto duro sul primo volume della trilogia, Sexus, l’unico pubblicato fino a quel momento.
Ecco una parte della replica di Miller a propria difesa:

Ho cercato di catturare una miseria e una sterilità che pochi uomini hanno conosciuto. Sarebbe stato molto meglio essere un avanzo di galera! Ma io avevo solo questa vita da raccontare. Quella passione che secondo te manca è presente, ma al negativo; mi ero proposto di raccontare quella vita di “attività insensata” che i saggi hanno sempre condannato, perché equivalente alla morte. Ma, come dico io stesso verso la fine del secondo libro [Plexus], soffrii della mia stessa ignoranza, e per me fu una bella lezione. Tirando le somme, forse la mia vita somiglierà a un’enorme piramide costruita sotto un segno negativo. Eppure, nonostante tutto, una piramide; e forse la si comprenderà meglio quando sarà capovolta.

Miller parla qui di una piramide. Mentre Proust aveva paragonato Alla ricerca del tempo perduto a una cattedrale. C’era stato addirittura un momento in cui lui aveva pensato di intitolare le varie parti secondo una nomenclatura architettonica: Portico IPortico IIAbside, ecc. E proprio alla sua natura di opera-cattedrale, Proust aveva attribuito la quasi impossibilità di portare a conclusione il suo romanzo.
Entrambi gli scrittori usano quindi una metafora architettonica, sebbene chiamando in causa due forme tra le più lontane tra loro possibili (come lontani erano del resto lo stile e la personalità dei due autori). Ma è soprattutto la parte in cui Miller parla della necessità di arrivare al momento finale, in cui la piramide sarà capovolta, a rendere fortissima l’analogia. Miller poteva solo avere in mente qualcosa di paragonabile agli eventi descritti da Proust nel Tempo ritrovato, quando la memoria inonda finalmente di luce, in retrospettiva, l’intera cattedrale della Recherche e Marcel – il protagonista del romanzo - acquista la piena consapevolezza del senso della sua intera vita, e del destino che vi si è manifestato, perché, lo si dica una volta per tutte, ogni cosa è destino. Tradotto in termini psicologici, la cattedrale illuminata dalla memoria è l’inconscio, e tornerò presto su questo, ma qui è implicito anche un altro grande passaggio, che è quello dalla dimensione della vita alla dimensione dell’arte. Un passaggio che si traduce, alla fine dell’ultimo volume della RechercheIl tempo ritrovato, nella decisione di Marcel di consacrarsi completamente alla scrittura di un grande romanzo – che altro non è che il romanzo che il lettore ha appena terminato di leggere. Perché la struttura dell’opera è esattamente circolare come il tempo, e non potrebbe essere altrimenti essendo il suo soggetto proprio il disvelamento del segreto del tempo.


Ma perché Marcel, una volta arrivato alla Comprensione, quella con la c maiuscola, fa questa scelta di “esilio”, che rispecchia naturalmente quella compiuta dallo stesso Proust?

È lo scrittore a dircelo:

La vera vita, la vita finalmente scoperta e compresa, la sola vita realmente vissuta, è la letteratura.

Una dichiarazione che sarà ribadita, alcuni decenni dopo e con altre parole, da Miller:

La narrativa è sempre più vicina alla realtà che non i fatti stessi.

Certo, in Proust la sostituzione della vita con l’arte si tradusse in termini molto più letterali che in Miller: il dandy che dopo una brillante vita mondana si seppellì (sebbene meno di quel che lasci trapelare la leggenda) in una stanza foderata di sughero. Ma qui entrano in gioco i temperamenti, quasi in tutto opposti tra loro, dei due scrittori: tanto estenuato, lunare e passivo era quello del francese, quanto sanguigno, solare ed estroverso era quello dell’americano. Ad accomunarli è invece il distacco da loro stessi, che li mette in condizione di gettare uno sguardo lucido e disincantato su ogni cosa e in primis sull’uomo e sul consorzio umano.

Detto questo, possiamo tornare adesso alla nostra domanda fondamentale: Se ogni sforzo dell’intelligenza di evocare il passato è destinato al fallimento, cosa c’è all’origine della scrittura di Proust e Miller?
La risposta è che c’è un diverso tipo di memoria, non collegata all’intelligenza, che ha un nome che non è mai stato un segreto e sarà quindi già noto ad alcuni di voi: la memoria involontaria.
E anche qui si tratta di una sostituzione, altrettanto decisiva di quella della vita con l’arte. Ma è anzitutto una sostituzione necessaria, se si vuole scavare alla ricerca del tesoro sepolto poiché, scrive ancora Proust:

Le informazioni che dà la memoria volontaria non trattengono nulla del passato. Sono vuote come l’io a cui sono pertinenti.
Ecco un altro passo fondamentale. Alla oscura diade memoria volontaria-intelligenza, si aggiunge ora un terzo elemento, l’«io», che condivide con i due precedenti la caratteristica di una sostanziale irrealtà.
Diventa così chiaro perché Miller definisca “fittizia” la storia della nostra vita; non potrebbe essere altrimenti, essendo tale storia pertinente all’«io», cioè a qualcosa per sua natura fittizio.
Siamo davvero arrivati stavolta a un punto cruciale: la memoria involontaria si rivela adatta al compito proustiano (e milleriano) della memoria perché è sia estranea al dominio dell’«io» e dei fatti che vi sono collegati, sia al dominio dell’intelligenza.
Ma a cosa è collegata allora la memoria involontaria? Qual’è il regno da cui proviene e in cui si muove? E’ adesso il turno di Miller di rispondere:

Vi sono giorni nei quali il ritorno alla vita è penoso e doloroso. Si abbandona il regno del sonno contro la propria volontà. Non è accaduto nulla, tranne la consapevolezza che la realtà più profonda e più vera appartiene al regno dell’inconscio.

Quanto sia fondamentale il regno del sonno per la genesi e lo sviluppo della Recherche è noto, e questa frase potrebbe benissimo averla scritta Proust. Ma la conclusione che più mi interessa trarre qui è che il regno della memoria involontaria altro non è che la “realtà più profonda e vera” del regno dell’inconscio. È “dall’oscurità e dal silenzio” di questo regno che secondo Proust provengono i veri libri, le vere opere d’arte, mentre dal mondo “dalla piena luce e dalla conversazione” che attiene all’intelligenza e all’io, possono provenire solo opere mediocri.
Una delle “scoperte” fondamentali di Proust fu proprio quella dell’illusorietà della continuità del nostro «io» – un’illusione prodotta dall’asservimento della nostra memoria alla tirannia dei fatti. In realtà, la nostra esistenza è costituita dalla contemporaneità e/o successione di una moltitudine di io, che nascono e muoiono senza sosta:

Capivo che morire non è qualcosa di nuovo, ma che, al contrario, sin dalla mia infanzia, ero già morto più di una volta.

Il destino di ognuno di questi io è di precipitare, alla sua morte, in una sorta di cimitero interiore, un Ade situato in noi ma al di là del tempo e dello spazio, dove rimangono come addormentati, in attesa di un loro eventuale risveglio provocato da un intervento esterno casuale – cioè estraneo alla nostra volontà. Mentre la memoria volontaria in tutto questo è solo di impaccio, poiché guardare volontariamente indietro non significa nient’altro che, così come era stato per Orfeo con Euridice, imbattersi in un fantasma. La memoria volontaria ha inoltre la caratteristica della fissazione ossessiva tipica dell’«io»:

Gli occhi del ricordo finiscono per non vedere più niente, quando li si fissa troppo  - scrive Proust.

La memoria involontaria dipende invece dal tempo e dai suoi meccanismi, che dopo aver cancellato le nostre impressioni per mezzo dell’oblio può “decidere” di farle risorgere. E ogni volta che si risveglia in noi il ricordo di un’impressione, si risvegliano contemporaneamente tutte le impressioni che vi sono collegate e formano il nucleo di quel particolare io. 
L’intenzione iniziale di Proust era proprio quella di scrivere un libro che fosse tutto composto di queste impressioni risvegliate, imbevute in modo indelebile della luce dell’eternità, frutto dell’estasi extratemporale oestasi metacronica. Il problema principale era però costituito dalle intermittenze: come era possibile scrivere soltanto con delle “gocce di luce”? Si chiese Proust. Alla fine comprese che ogni cosa, come nei miti orfici, poteva solo avere inizio dalla notte (Per molto tempo, sono andato a letto presto…)con tutto quel che vi era di collegato incluso il male più abissale. Ma si era anche illuso di finire presto, di restare recluso solo per pochi mesi, un anno al massimo. Poi avrebbe ripreso a vivere, a frequentare la bella società…

Il primo contatto di Marcel – il protagonista della Recherche - con la memoria involontaria è talmente noto da essere diventato una sorta di emblema del romanzo di Proust.

Mentre rientra a casa, in una sera d’inverno, la madre offre a Marcel una tazza di tè con una madeleine, con questo risultato (mi permetto qui, per un’unica volta, un comodo copia-incolla da Wikipedia):

Appena riconosciuto il sapore del pezzo di madeleine imbevuto nel tè caldo che una volta, molti anni addietro, era d'uso preparargli sempre la zia quando si trovavano a Combray, intere sezioni di memoria cominciano a venire a galla "proprio come nel giuoco in cui i giapponesi si divertono a mettere in ammollo in una ciotola di porcellana piena d'acqua piccoli pezzi di carta i quali, fino ad allora rimasti indistinti, cominciano a prender forma diventando fiori, case, personaggi coerenti e riconoscibili".

La memoria involontaria nasce quindi dall’interazione, che è una sovrapposizione, di un momento presente con un momento passato, il cui risultato è la resurrezione dell’io che ha vissuto l’esperienza originale e la contemporanea liberazione del ricordo, prima imprigionato nelle cose. L’insorgenza della memoria involontaria dipende infatti sempre dall’intervento di oggetti concreti, accessibili ai sensi: una pietra mal squadrata che oscilla, il suono di un cucchiaio contro un piatto, un tovagliolo premuto contro le labbra. Questo perché anche i veri ricordi sono frutto di un’interazione. E più esattamente, come scrive Proust: 

un precipitato dell’interazione tra la sempre mutevole coscienza personale e l’incessante mutamento del mondo.

Ma anche se la memoria involontaria è messa in moto dal caso, si tratta sempre e comunque di un caso necessario, governato dalla onnipresente legge del destino. Così che alla fine è proprio la casualità a essere la miglior garante della sua fondatezza nella verità: 

…la maniera fortuita, inevitabile, con cui la sensazione era stata incontrata, controllava la verità del passato che essa resuscitava, la verità delle immagini che metteva in movimento, giacché sentivo il suo sforzo di risalire verso la luce e la gioia del reale ritrovato.

Mentre il tessuto o la sostanza stessa che forma il continuum della memoria (anche se qui sarebbe forse il caso di scrivere “Memoria”) e fa da fluido connettivo (fondu, in gergo proustiano) tra i veri ricordi, è la luce.
E a proposito della luce, penso che chiunque abbia letto a fondo Henry Miller conosca, o dovrebbe conoscere, le voragini che si aprono improvvise nelle pagine dei suoi libri, quando un momento del passato, casualmenterichiamato dalla legge dell’analogia, si sovrappone al momento presente. Sono abissi altrettanto densi di luce di quelli evocati da Proust, e non fa quindi meraviglia che lo stesso Miller, parlando della rilettura del suoSexus durante la correzione delle bozze, scriva a Durrell di essere “rimasto abbagliato”.  
Sempre Miller scrisse una volta che non sarebbero bastati duemila libri a trascrivere il contenuto di una vita umana. Il compito della memoria proustiana si esaurisce infatti solo nel momento in cui l’intero regno dell’ombra è riportato alla piena luce, nel momento in cui tutti gli io sono divenuti oggetto di resurrezione. Deve essere tuttavia chiaro che il movimento qui proposto è esattamente rovesciato rispetto a quello operato dalla psicanalisi di stampo freudiano, che cominciava a diffondersi proprio all’epoca in cui Proust stava scrivendo. Non sono le parti inconsce a dover essere integrate nell’io così come noi lo percepiamo, ma è quest’ultimo che deve essere assorbito nel meccanismo del tempo, divenendo così soggetto alle sue leggi di morte nell’oscurità dell’oblio e resurrezione nella luce immutabile ed eterna della Memoria. Allora, in questo altro, nuovo regno della piena luce, perfino gli avvenimenti più dolorosi del passato cessano di gettare la loro ombra.
E voglio concludere ancora con Miller, con una citazione da Ricordati di ricordare che mi sembra costituire il cappello perfetto di questo articolo:
Uomini deboli, uomini accorti, uomini tristi, uomini di mondo hanno tentato di farci credere che la nostra vita è vana e inconsistente, che viviamo senza uno scopo, consigliandoci al tempo stesso di godercela finché possiamo. Ma quando s’apre una prospettiva importante, l’influenza di costoro evapora come sudore.
* * *
Opere in cartaceo consultate:
Alla ricerca del tempo perduto, Rizzoli 1985. A cura di Giovanni Bogliolo e Piero Toffano. Traduzione di Maria Teresa Nessi Somaini.
Alla ricerca del tempo perduto, I. Dalla Parte di Swann. Newton & Compton, 1990. A cura di Paolo Pinto e Giuseppe Grasso.
Pietro Citati, La colomba pugnalata. Proust e la Recherche. Mondadori 1995.
Henry Miller, La crocifissione in rosa (Sexus-Plexus-Nexus). Mondadori 1991-1993.
Henry Miller, Ricordati di ricordare. Einaudi 1965. Traduzione di Vincenzo Mantovani.
Henry Miller, I libri nella mia vita. Einaudi 1976. Traduzione di Giorgio Agamben.

martedì 23 dicembre 2014

TERRAFERMA - Un film che è un dito puntato contro l'egoismo e l'ipocrisia

Regia Emanuele Crialese

Un film dal forte impatto emotivo. Molto efficace la decisione di caratterizzare i personaggi grazie  all'uso del dialetto.
Viene posta una domanda fondamentale: cosa succede quando ti viene chiesto di rischiare tutto, spesso il poco che hai, per salvare chi non ha niente?  La risposta viene spontanea per chi osserva "la legge del mare", che poi è la legge dell'uomo. Quel semplice concetto è cosi radicato nei nostri protagonisti da essere un modo di vivere, dove agire con giustizia è una condizione imprescindibile. Un vecchio pescatore, povero, che non parla neanche l'italiano, ci ricorda cosa vuole dire essere uomini in un mondo fatto di uomini, a ogni costo, anche contro le leggi dello Stato se vanno contro il proprio codice che dice che non si abbandona nessuno in mare. Un codice che ci ricorda che solo tendendosi la mano, guardandosi negli occhi, si riesce ad andare avanti. Bravi tutti gli attori, belle le atmosfere, ti sembra di sentire il calore del sole della Sicilia e il salino incrostato sulla pelle, veramente un bellissimo film.


© 2014 di Massimiliano Riccardi

giovedì 18 dicembre 2014

OTTO LAMPI NEL BUIO di Marvin Menini - racconti



Sinossi
Anime dannate in viaggio verso l'inferno Otto lampi di luce che tentano di penetrare il lato oscuro dell'essere umano. Otto racconti noir, che non celano la passione dell'autore per Tarantino, Lansdale, Ellroy e la Vargas. Otto vite, otto storie, otto destini. Otto anime dannate in viaggio verso l'inferno.

Marvin Menini.
Un chirurgo, uno scrittore, un'apprendista sciamano, un eterno apprendista, come ama definirsi.
Consigliatissimo.

mercoledì 17 dicembre 2014

Bellissimo: MELANCHOLIA di Lars Von Trier

Film di grande impatto. I dialoghi contano poco. Immagini ed atmosfere che si susseguono come pennellate su di una tela fatta di tessuto grezzo e stropicciato. 
Personaggi emblematici, caratterizzati mettendo in evidenza i punti di forza e le debolezze dell'animo umano. 
Le due sorelle, due parti di un unica anima. La lotta per la vita, la protezione. Simboli potenti.
Il marito che all'ultimo istante fugge davanti all'inevitabile cercando una morte solitaria a simboleggiare l'uomo che da egoista abbandona tutti al loro destino dopo aver preso quello che poteva da questo pianeta. 
Il bambino, innocente, inconsapevole e mantenuto tale sino alla fine. Il futuro dell'umanità che si dissolve.
Un grande ritorno di un grande regista, qui la fantascienza c'entra poco, tutto ciò che scorre sotto i nostri occhi attiene piuttosto all'arte subliminale. Bellissimo.



© 2014 di Massimiliano Riccardi.

domenica 14 dicembre 2014

DRACO L'OMBRA DELL'IMPERATORE

Sinossi

Siamo nel 355 d.C. e sono trascorsi quasi vent'anni dalla morte di Costantino il Grande. La stabilità dell'Impero romano è sottoposta a una duplice minaccia: i barbari che premono ai confini, e le lotte intestine rese più aspre dai tentativi di molti generali di autoproclamarsi imperatori. Costanzo II, sul trono dell'Impero d'Oriente, ossessionato dalla paura di perdere il potere, ha istituito una rete di spie per intercettare ogni oppositore. È così che Victor, di origini franche, diventa l'ombra del giovane Giuliano, destinato a vestire la porpora e diventare il prossimo Cesare delle Gallie. Solitario e incurante del pericolo, intelligente e perspicace ma addestrato a eseguire gli ordini senza porsi domande, Victor è un esecutore, il braccio armato di menti che nel segreto delle stanze decidono il corso della storia. Formalmente incaricato del suo addestramento militare, affiancherà Giuliano in ogni sua mossa, per renderlo innocuo nei confronti delle ambizioni di Costanzo. Giuliano, però, è un uomo di studi, non un condottiero, un filosofo che crede ancora negli dei e non nel Cristo che li ha ormai soppiantati per legge. E Victor non è l'unico uomo nell'ombra. C'è qualcuno che osserva le sue mosse, e per proteggere se stesso e Giuliano sarà costretto ad abbandonare molte delle sue certezze e intraprendere una strada più insidiosa del previsto. Battaglie, sotterfugi, tradimenti, amicizie e amori fanno da sfondo al lento e inesorabile sgretolarsi di un impero, in un romanzo che sa cogliere la grandezza celata nella decadenza.




Un grande imperatore in bilico tra il nuovo che avanza e la secolare Tradizione. Flavio Claudio Giuliano, impietosamente conosciuto come l'apostata, come non lo abbiamo mai sentito raccontare. Un romanzo carico di emozioni tumultuose, azione e potenza narrativa. DRACO vi condurrà lungo le difficili e pericolose strade di un mondo in disfacimento e vi farà innamorare della Storia.
Forse la mia valutazione non fa testo perché sono totalmente e irreversibilmente innamorato di questo scrittore. Azione, narrazione snella ed efficace. Il romanzo storico per eccellenza. 
Bravissimo Massimiliano Colombo.

sabato 13 dicembre 2014

I VINTI

I VINTI

La seconda opera di Michelangelo Antonioni dopo "Cronaca di un Amore". Film diviso in tre episodi, per tre diverse ambientazioni.
Nell'episodio francese il male come banalità del gesto fine a se stesso. Il giovane che commette il delitto non è neanche in grado di finalizzare l'atto drammatico appena compiuto, il complice che vilmente si dissocia viene assolto da un padre specchio della società che decide chi è colpevole o chi non lo è a prescindere dalla giustizia. La morale discende dall'alto, il vile non è più vile il complice non è colpevole di nulla solo perché una sorta di autorità ha deciso così , significativa la frase rivolta al ragazzo che è tra gli ideatori dell'efferato delitto :
< vattene a casa tu, che non hai fatto niente.>
Il potere, a prescindere dagli atti commessi, assolve o condanna a suo piacimento.
Assoluzione, colpevolezza, banalità del male pur nella sua atrocità, questi sono gli ingredienti dell'episodio italiano, la catarsi finale con la morte del giovane assassino come monito che il delitto non paga.

L'episodio inglese, forse il più originale, vede come protagonista la follia lucida e programmata, il bisogno di uscire dalla massa a qualsiasi costo. La vita umana non ha più valore, il cinismo totale prevale. Un giovane che uccide per diventare famoso e apparire sui rotocalchi
Un tentativo di proporre quello che diventerà un filone sfruttato negli anni a seguire: il film denuncia.

© 2014 di Massimiliano Riccardi

venerdì 12 dicembre 2014

Gli ammutinati del Bounty. L'epopea di Marlon entra nel mito.



< Grazie , sto bene, a parte un forte desiderio di morire che spero mi passi presto... >
Cosi esordisce Marlon Brando rivedendo la sua bella tornando all'isola di lei, ad ammutinamento avvenuto e dopo essersi rovinato la vita perdendo il suo ruolo sociale e negandosi per sempre la possibilità di tornare a casa. Frase emblematica che forse caratterizza tutto l'essere attore di questo grande del cinema. Ricordiamo tutti il rifiuto del premio Oscar che gli fu assegnato per "Il padrino". Un atto di protesta contro la discriminazione razziale. 
Gli ammutinati del Bounty un film kolossal dai toni epici, una storia d'amore indimenticabile, una storia di ribellione dai soprusi che non ha eguali nella storia del cinema.
Un film non solo da vedere, ma da avere e conservare nella propria videoteca.
Uno dei dieci film che io ritengo capolavori assoluti. Consigliato a tutti.

© 2014 di Massimiliano Riccardi

venerdì 5 dicembre 2014

LA LEGIONE DEGLI IMMORTALI di Massimiliano Colombo

Un romanzo coinvolgente. Carico di tensione. Una narrazione scorrevole e avvincente. Uno scrittore Italiano che, finalmente, metterà in ombra i "soliti inglesi" così presenti nel panorama editoriale del romanzo storico che narra vicende dell'antica Roma.

Massimiliano Riccardi


Dal sito edizioni PIEMME

55 a. C. Una flotta da guerra giunge in vista di una terra ignota, popolata da feroci guerrieri, capaci di incutere timore persino ai soldati di Giulio Cesare. Di fronte al panico che coglie le truppe, un uomo si lancia nelle acque gelide. È Lucio Petrosidio, aquilifero della Decima Legione. Come un solo uomo, dietro la sua aquila, la legione degli immortali va all’assalto. Per Cesare e per Roma, Lucio e i suoi compagni, Massimo, Quinto, Valerio, si batteranno senza tregua per conquistare la Britannia, e per proteggere Gwynith, la schiava dai capelli rossi che ha conquistato il cuore dell’aquilifero. Fino a un luogo chiamato Atuatuca, dov’è in agguato un destino di sangue...
35 a. C. Dal ponte di una nave, un uomo osserva le coste della grande isola ormai prossima. Al suo fianco il gladio dei legionari, nella mente i ricordi di un’epopea di guerra e di morte, in cui aleggiano i fantasmi dei compagni caduti. È per dar pace a quei fantasmi, e alla sua coscienza, che il vecchio soldato sta tornando in Britannia. Perché da allora c’è una donna in attesa del suo uomo e c’è una battaglia iniziata vent’anni prima che aspetta lui per concludersi definitivamente.

Massimiliano Colombo, Nato a Bergamo nel 1966, vive a Como. Da anni coltiva la sua passione per gli eserciti del passato, la storia antica e il ricco e straordinario mondo delle ricostruzioni e dell’oggettistica militare, di cui è diventato cultore ed esperto partecipando a concorsi nazionali e internazionali e collaborando con varie riviste del settore. Draco. L’ombra dell’imperatore è il suo terzo romanzo dopo La legione degli immortali e Il vessillo di porpora.
Non c'è molto da aggiungere per definire questa immagine.
Il motore primo di qualsiasi aspirazione è legato ai valori in cui ti riconosci.