scrivere per vivere vivere per scrivere

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La lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati. (René Descartes) ********************************************************************************************** USQUE AD FINEM

venerdì 23 dicembre 2016

Auguri di Buon Natale. Ultimo post inutile del 2016


Nessun vento è favorevole in senso assoluto, ma per noi sarà preziosa anche una semplice brezza.
Non è farina del mio sacco, ho parafrasato la citazione di un Grande adattandola a quello che è il mio sentire attuale.
Il 2016 sta finendo, spero che sprofondi all'inferno. Un nuovo anno è prossimo. Sono ottimista. Sempre. Anche contro ogni evidenza.
Inutile starsela a menare con atteggiamenti di rivalsa nei confronti del Santo Natale, motteggi da crisi post adolescenziale di rifiuto delle festività canoniche. Inutile direi. È Natale, quindi, come si fa tra personcine perbene voglio fare gli auguri a tutti. Ai visitatori del blog, ai commentatori, agli improvvidi sostenitori delle cose inutili che pubblico, agli amici. Certo, come tutti gli adulti in faccende affaccendati vivo il Natale prevalentemente in funzione dei piccolini che allietano le nostre esistenze. Il Natale è per loro. Però, e sticazzi, però… quel bambinello nella culla…
Ho letto un post stilato dalla Glò de"la nostra Libreria", devo dire che l'immagine di quel bambino può essere sicuramente un bel messaggio per tutti, credenti e non credenti. Forse non tanto per la similitudine che ci ha voluto indicare Gloria, ma piuttosto per festeggiare il bambinello innocente che è in noi, magari sepolto, magari affossato nei meandri più reconditi del nostro inconscio, però vivo e vitale, soltanto un po' spaventato dagli adulti che siamo diventati. Così lontani dall'ordine naturale delle cose, distanti dal vivere comune, dalla fratellanza, con vite così funzionali al sistema e poco addentro all'armonia della natura.
Certo è ovvio che non basta il Natale a cambiare le cose e a far diventare tutti più buoni, quindi potete smettere di grattarvi i coglioni se pensavate che volessi arrivare a questa conclusione.
Il Natale è un rito, e i riti non sono solo noia e ripetitività, sono degli istanti di limbo indecifrabile dove per poco, pochissimo, ci si può permettere il lusso di fermarsi e fare più o meno finta che il vivere comune sia altro dal quotidiano e dal contingente. Bestemmiando, imprecando, criticando, facendo finta di ignorare,  mettendo su tutto il solito teatrino di moderni e razionali avversari della pantomima consumistica, possiamo godere e bearci di piccoli gesti, di delicati doni, di parole di affetto.
Per molti il Natale è foriero di malinconie sopite pronte a esplodere, di tristezza al pensiero di chi non c'è più, di nostalgia verso chi è lontano, anche di tristezza pensando a chi è malato. Io lavorerò il 24, il 25, il 26 e sarò proprio al fianco di chi se ne strabatterebbe volentieri la minchia di fare il "contro a tutti i costi" e vorrebbe soltanto essere a casa a festeggiare con i suoi cari, omaggiando entusiasticamente tutti i luoghi comuni del mondo pur di star bene.
Quindi, eeeh quindi, in virtù di tutto ciò che ammorba il mondo, dello schifo che ci sovrasta e che puntualmente osserviamo tramite i telegiornali o direttamente con i nostri occhi, dico Buon Natale. Guardo il mio bambino felice e dico Buon Natale, ricevo gli auguri da amici ed estranei e dico Buon Natale. Mi godo le gioie semplici perché so che sono l'ultimo rifugio degli spiriti complessi.
Quindi, dicevo, dico Buon Natale a tutti gli amici Blogger con cui ho condiviso molto, con alcuni ho scoperto un nuovo significato di amicizia (un pensiero a Patricia Moll), agli oltre centomila visitatori del blog. Buon Natale anche a te che leggi queste righe sgrammaticate con il sorriso beffardo ridendo della mia banalità. Buon Natale a chi crede e a chi non crede. Buon Natale a tutti, a prescindere e in ogni caso.
Ora voglio cromarvi definitivamente le palle con una citazione, miei cari amici:
"… egli era abbastanza saggio da sapere che su questo globo niente di buono è mai accaduto, di cui qualcuno non abbia riso al primo momento.
E sapendo che in ogni modo la gente siffatta è cieca, pensò che non aveva nessuna importanza se strizzavano gli occhi in un sogghigno, come fanno gli ammalati di certe forme poco attraenti di malattie.
Il suo cuore rideva e questo per lui era perfettamente sufficiente.
Non ebbe più rapporti con gli spiriti; ma visse sempre, d’allora in poi, sulla base di una totale astinenza; e di lui si disse sempre che se c’era un uomo che sapeva osservare bene il Natale, quell’uomo era lui.
Possa questo esser detto veramente di noi, di noi tutti! E così, come osservò Tiny Tim, che Dio ci benedica, tutti!"
Canto di Natale, Charles Dickens

Alla domanda su quelli che saranno i buoni propositi per il 2017 rispondo: " farò quello che posso, sono solo un essere umano". Un bacio a Marina Guarneri che mi ha ispirato.

Buon Natale a tutti.



© 2016 di Massimiliano Riccardi

venerdì 9 dicembre 2016

Di amore, volontà, e altre facezie. Tornano i post inutili


Questa volta nessun post declamatorio, illustrativo, descrittivo, insomma abbasso gli ivo e gli orio. Soltanto un raccontino. Così per gioco, tanto per raccontare qualcosa senza raccontare nulla. Spero possa essere comunque di gradevole lettura.



Fronte poggiata sul vetro della finestra.
Gelo.
Il ragazzino gode al contatto. Dietro di lui gli adulti chiacchierano.
In realtà è solo la sua percezione, li sente così distanti.
Tutti.
Se fosse più interessato si accorgerebbe che invece stanno urlando, litigano.
Con il fiato si diverte a rendere opaco quel vetro così lucido. È un gioco, vuole vedere se riesce a far risalire la condensa che si forma ai lati della bocca su su sino a coprire anche la visuale. Non vuole limitarsi a non sentire, desidera anche non vedere. Nessuno bada a lui, sono tutti troppo presi dai loro discorsi da adulti.
È una giornata importante. Si decidono cose che cambieranno la sua vita. Al bambino non interessa. Sente che quello che veramente conta è già cambiato. Meglio che i grandi non sappiano quanto ha capito di tutta quella storia.
Il senso di provvisorietà che lo ha sempre accompagnato è diventato la sua forza. All'inizio gli faceva male, piangeva spesso, di nascosto. Vedeva sua madre disperata, con ancora i segni sul volto delle botte prese, e si macerava dentro. All'uscita della scuola osservava i padri dei suoi compagni e in ognuno di loro vedeva il proprio padre. Il dolore per l'assenza si trasformava in odio, avrebbe voluto vedere tutti soli. Come lui era solo. Con il tempo aveva scoperto che il senso di provvisorietà, di indefinita collocazione, era come una barca: galleggiava, si dondolava quieta. Poteva osservare il mondo circostante senza necessariamente dover andare in nessun posto. Poteva riflettere senza essere disturbato da cose impellenti che distraggono.
Sino a quel giorno.
Alle sue spalle sente la voce di suo padre. Voce potente, irosa. Gli tremano le gambe. Spicca tra le altre voci che gli sembrano dei cicalii indistinti. Sua madre, gli avvocati, tutti gli altri, tutti quanti vengono percepiti come un brusio indistinto.
Percepisce nitide e violente quelle parole:
«Lui non è mio figlio! Non è più mio figlio».
Stringe con forza la balaustra della finestra, il fiato gli si blocca in gola. Un urlo prepotente esplode nella sua testa, lo sente solo lui, fa ancora più male. Non si volta.
Forse se non guarda non sta succedendo davvero.
La condensa si dissolve e torna a vedere il panorama al di fuori del tribunale dei minori. Torna nuovamente a farsi distrarre dal mondo circostante. Vede le persone che passeggiano imbacuccate da cappotti e giubbotti invernali. Sono tutti felici. Almeno così sembra. Le insegne dei negozi sono addobbate, pronte per il Natale che si sta avvicinando, in attesa che arrivi il 1980. Un nuovo decennio, forse un nuovo tutto.
Non si accorge nemmeno che alle sue spalle il brusio è terminato. Non sente neppure la voce di sua madre che lo chiama. Continua a dare le spalle a tutti.
Un macigno gli si posa sulla spalla, il bambino sussulta spaventato, poi il peso si fa subito lieve. È la mano enorme di suo nonno. Il ragazzino si volta alzando lo sguardo. Era necessario alzare lo sguardo, quando si è soltanto dei ragazzini un metro e novanta sembra un'altezza da giganti. L'uomo con una mano tiene il bocchino della pipa tra le labbra. Anche lui guarda oltre. O forse no.
«Sai, alle volte, quando ero in montagna, mentre i tedeschi sparavano e i miei compagni rispondevano urlando e imprecando, mi capitava di rifugiarmi in un piccolo mondo tutto mio, nella mia testa. Non era vigliaccheria o voglia di scappare. Prendevo tempo. Davo tempo alla mia anima di prendere atto di tutto quell'orrore».
L'uomo abbassa lo sguardo e fissa le sue pupille di brace nera negli occhi del bambino. La stretta sulla spalla si fa di nuovo più forte. Questa volta è calda, avvolgente.
Il bambino vorrebbe piangere, riesce a non farlo. Sente il groppo in gola sciogliersi, gli occhi si riempiono di lacrime. Tira su col naso e trattiene tutto.
«Capisci fieul? Non c'è da vergognarsi a desiderare di essere altrove».
«Non ho paura nonno. È solo che non capisco».
«Ooh, sono sicuro che hai capito tutto, è che sei un bocia, e certi bocconi hai solo bisogno di masticarli per bene».
L'uomo con calma ripone nel taschino della giacca la pipa, poi con tutte e due le mani prende le spalle del nipote sino a farlo voltare completamente verso di se. I due si guardano a lungo. Senza parlare.
Non avevano mai avuto bisogno di chiacchiere per capirsi. Avevano fatto tante cose insieme, quell'uomo gli aveva insegnato tutto quello che sapeva, le cose belle. Erano riusciti a camminare per ore in montagna senza parlarsi, solo indicando di volta in volta le sorprese che la natura riservava loro durante il cammino. Fermarsi nei rifugi e condividere pezzi di pane e formaggio tagliati direttamente con il coltello da caccia del nonno gli era sempre sembrato il fatto più incredibile e bello del mondo. I suoi compagni di scuola certe cose non le avevano mai sperimentate, quelli erano gli unici momenti in cui il bambino si sentiva fortunato.
«Sai cosa facciamo? Domani andremo per boschi. C'è la neve, sarà faticoso. Si affonda, ci vogliono buone gambe, forza di volontà e pazienza. Te la senti?».
Il bambino poggia la testa sulla pancia del nonno abbracciandolo.
«Bada bene, non bisogna far tutto da soli, nei punti dove la neve è più alta ci mettiamo le ciaspole. Hai capito? C'è sempre un modo, sempre».
I due tornano a guardarsi. Si sorridono. Inspiegabilmente, almeno per il bambino questo fatto sembrava assurdo: il nonno aveva ha occhi lucidi.
L'uomo diede due o tre rudi  buffetti sulla testa del nipote.
«Valà, valà che di questo bocia alla fine ne facciamo un bell'Alpino. Cuore saldo e gambe forti, non serve mica altro sai?».





© 2016 di Massimiliano Riccardi

sabato 19 novembre 2016

Quasi un mese. Torno con le mie inutili facezie



Sono molti giorni che non pubblico nulla, quasi un mese.  Non per mancanza di voglia, nemmeno per pigrizia. Come capita a tutti, ci sono accadimenti della vita che trascinano verso luoghi che puoi visitare solo guardandoti dentro. Ciò che attiene all'amore, ai figli, alle persone che fanno parte della tua esistenza e sono parte di te. Tutto ciò che veramente caratterizza il tuo essere un uomo. Più della professione che svolgi, più dei successi e degli insuccessi. Ma questa e tutta un'altra storia. Non voglio tediare nessuno con faccende personali.
Una cosa posso però raccontarla. Sì, posso.
Quando ci sono cose che ti portano a scavare nella tua anima, nell'anima delle persone che ami, cercando di capirle e di capirti, succede che scopri di avere tralasciato dei dettagli. Quelle particelle infinitesimali di cui mi piace tanto parlare, quelle parti del tuo essere profondo così nascoste e celate tra le pieghe del tuo intelletto da averti fatto perdere anni in elucubrazioni talvolta inutili. Gli scossoni emotivi sono sempre un'ottima occasione per raccogliere quelle particelle infinitesimali che cadono lungo la via durante i tremori dell'anima.
Io scrivo, quindi sono un ladro di sensazioni e immagini. Narro, quindi sono anche un bugiardo perché devo necessariamente arricchire, rendere fruibile e accettabile quello che racconto. I dettagli della menzogna, le sfumature più volatili, sono le uniche verità. Concrete e vere, bisogna solo essere in grado di vederle, di coglierle.
Come capita agli scrittori, devi metterti davanti a un foglio e chiedere aiuto a qualcuno. Qualcuno che ti possa far capire meglio la vita, il mondo, chi sei e cosa cazzo ci stai a fare su questa terra. 
Qualcuno arriva sempre. Senti sussurri nella notte che ti raccontano una storia, ti appaiono immagini di persone che vivono sotto i tuoi occhi vicende incredibili. Vedi te stesso viaggiare sul flusso della memoria e cogli ciò che al momento degli accadimenti non hai colto, o non hai voluto cogliere. Allora ti alzi da letto e prendi appunti, cerchi di stare al passo con la narrazione. Perché scrivere è l'unica cosa che ti fa star bene e ti aiuta. 
Una volta da qualche parte, non ricordo più nemmeno su quale blog o sito, ho lasciato questo mio delirio: Si scrive per bisogno di leggerezza. Compenetrazione mascherata da distacco dal mondo. Inutile posa di chi parla a se stesso facendo finta di parlare alle moltitudini. È vero anche il contrario. Dissimulazione. Scrivere di nulla per dire tutto. Parlare troppo per non dire niente. Insensato è il desiderio di cambiare il mondo. Scrivete del vacuo, parlate del vuoto. Come disse non so chi, "Le parole usate per essere utili si vendicano e ci si ritorcono contro".
Insomma, questo è quello che mi è successo ultimamente nel mare magnum dei casini che ho dovuto attraversare, nel tempo della lontananza dal blogging.
Tutto qui, niente di speciale. Come tutti mi barcameno e vado avanti per tentativi.
Ho consegnato un romanzo che è puro divertimento nella speranza che possa nascere su carta, ma che comunque pubblicherò anche da solo se la faccenda andrà troppo per le lunghe, e mi sono messo a scrivere una storia che farà molto per aiutare me stesso e i protagonisti delle vicende a superare e mettere un sigillo definitivo su fatti di quasi trent'anni fa. Ovviamente parlo di un romanzo, quindi la verità è tra le pieghe, la cogli come lampo di luce infinitesimale.
Come ultima cosa voglio ringraziare delle amiche blogger che mi hanno contattato per avere notizie di me. Lo hanno fatto in un momento decisivo, mi hanno risollevato lo spirito e sono loro grato dal più profondo del cuore. Parlo della carissima Patricia Moll, della mitica Glò, e della Donna portentosa Marina Guarneri.


Tornerò a rompere le scatole commentando i post dei colleghi blogger che appaiono sul mio blogroll e farò nuovamente sentire la mia voce di cazzaro pubblicando ancora qualche inutile facezia.
Fine della tiritera.
Hip hip Hurrà.

domenica 23 ottobre 2016

Insieme raccontiamo 14 - La via del sogno


Anche questa volta partecipo con gioia al gioco di Patricia Moll: insieme raccontiamo appuntamento 14. Come al solito lei lancia un incipit e noi proseguiamo con un finale.  QUI il link che rimanda al post originale.
Questa volta ho dovuto tenere a freno la fantasia, ho preso la deriva verso lidi che si trovano al confine tra sogno e realtà. Spero che l'esperimento possa risultare gradevole.



L'incipit di Patricia
Seduta ai margini del bosco sotto alla vecchia quercia spoglia rimuginava. Un peso le gravava sulla coscienza. Forse era giunta l’ora di liberarsene ma con chi parlarne? A chi rivolgersi? Chi avrebbe capito?
D’un tratto il tappeto di foglie ingiallite dall’autunno scricchiolò vicino a lei. Si voltò.

Il mio finale
Era tornata a casa sua, ma non aveva pace. Fluttuante e impalpabile. Lo spirito tormentato di suo figlio impediva un vero ricongiungimento. L'accettazione. 
Di nuovo lo scricchiolio di foglie. La via dei canti si fece luce, il serpente arcobaleno apparve immenso. Era stato chiamato, invocato da quell'anima dolente in cerca di consolazione. Occhieggiando e muovendo il capo invita la donna a proseguire il viaggio. Kanmare, che attraversa le acque, viaggia in terre lontane, unisce uomo a uomo attraverso i sogni, ingoia i malvagi, canta di genti e civiltà perdute. I sogni che preesistono e persistono. L'essere umano che si fa terra, roccia, corso d'acqua, vento, pioggia, pozza, albero.
Arcobaleno.
Vita eterna.
Tempo circolare.

1980
Il bambino si sente precipitare, la caduta gli mozza il fiato. Ha paura. Vorrebbe svegliarsi. Sogna. È tutto così reale. Una mano lo afferra. Salda. Apre gli occhi e vede sua madre. Non ode alcun suono ma vede. Percepisce il dolore di lei, il senso di colpa per averlo lasciato solo. Lo chiama. Senza parole. Solo alito di vento, colori. Chiarissimi.
Lui sta sognando, lei sta sognando. Sogno nel sogno.
Visioni.
Riconosce il luogo dove giace.
Può ritrovarla.
Finalmente pace.
Placare il suo spirito inquieto.
Apre gli occhi. Ansimante si guarda intorno. Ha immaginato di essere piccolo, un bimbo. Solo i fanciulli possono dar corpo ai sogni. 
Aveva lasciato gli Stati Uniti da circa un mese, la sua ossessione lo aveva portato sino in Australia. Era uno scienziato, ma questa volta si era affidato a ben altro.
Il suono del Didgeridoo è ossessivo, ripetitivo, modulato, vibrante. Ipnotico. Gli aborigeni che lo ospitano sorridono. Sanno. Anche loro hanno sognato.
L'uomo ha visto. Non ha nemmeno bisogno di cercare il punto sulla mappa. Sa esattamente dove andare per ritrovare il corpo di sua madre scomparsa durante una spedizione naturalistica trent'anni prima nei territori del nord. Uluru, "il grande masso" lo aspetta, il luogo dove il tempo non è tempo, dove la via del sogno è eternità, dove il passato e il presente si fondono.


lunedì 10 ottobre 2016

Di scrittura, giudizi e altre facezie




Qualche giorno fa su blog "Appunti a margine" di Chiara Solerio è uscito un post molto interessante dal titolo Il rapporto tra autore e personaggi - la sospensione del giudizio. Proprio perché trattava una tematica che mi interessa molto ho deciso di intervenire con un commento. Come spesso capita al sottoscritto è venuto fuori un vero e proprio torrente di parole che ha obbligato blogspot a difendersi rifiutando l'inserimento se non a costo di frammentarlo in almeno tre parti. Naturalmente ho optato per la soluzione più divertente per me: ne ho ricavato un vero e proprio post.
L'articolo di Chiara partiva da un assunto ben preciso, a me ha fornito il destro per ulteriori osservazioni legate anche al mio vissuto quotidiano. Ovviamente si tratta di considerazioni personali e come tali del tutto opinabili. Qui sotto riporto quello che avrebbe dovuto essere il mio commento.

Quello della sospensione del giudizio è un argomento non da poco. Attiene  alle relazioni umane come alla scrittura. Nei primissimi anni 90' incominciavo gli studi per poter svolgere la professione che ancora oggi mi permette di vivere, appresi un concetto che sino ad allora era soltanto una parola come tante: empatia.
Termine abusato, usato troppo spesso a sproposito, per mille motivi contraddetto dagli stessi atteggiamenti di coloro che se ne fanno promotori e fautori.
Ovvio che nel mio campo l'empatia deve avere necessariamente un riscontro pratico, non può essere soltanto un concetto acquisito o una banale nozione. 
Per rendere più snello il ragionamento, e per non risultare banalmente didascalico, possiamo dire che l'empatia è quello stato che ti permette di ascoltare il tuo interlocutore, percependone le emozioni, i drammi o le gioie, come se fossero le tue. Bada bene, sottolineo il "come se". Fondamentale. Difficile.  Vale anche per i personaggi  di un romanzo, a meno che non si desideri dar voce a un'evidente presa di posizione. 

Dunque, dicevamo empatia, ascoltare le emozioni e i sentimenti "dell'altro da me" senza che diventino le tue, percepire il dolore senza soffrirne a tua volta, ascoltare le paure dell'altro senza provarne tu stesso.
Impresa titanica ti garantisco, nei fatti è un processo molto difficoltoso, la realtà ha talmente tante variabili che è spesso difficile applicare le teorie sino al giorno prima solo lette e studiate.
L'empatia come confine fondamentale tra la simpatia e l'antipatia, anzi, la totale esclusione di ogni attitudine affettiva personale, banalizzo ma è per far capire. Ascoltare l'altro astenendosi dal giudizio, entrare nella sua visione senza esserne coinvolto. Una sorta di ascolto non valutativo e giudicante ma comprensivo nel senso più puro del termine.
Immagina l'approccio terapeutico di un caso limite: io ho bisogno di raccogliere più informazioni possibili su di un paziente che ha una formazione culturale totalmente diversa dalla mia, ad esempio un mussulmano praticante, con abitudini alimentari diverse, un concetto di società agli antipodi con il mio, a quel punto? Come posso ascoltare quello che ha da dirmi senza essere preda del mio sentire? Senza essere vittima del mio giudizio o pregiudizio? Posso solo ascoltare dimenticando chi sono senza però annullarmi, ascoltare il suo disagio senza provarlo io stesso, a quel punto cercando di instaurare un processo empatico, posso pianificare tutto quello che è il mio agire da professionista adattando le mie risorse alle necessità del paziente. Quindi via i "qui si fa così", via i "che cazzo di modo di vivere", via tutto ciò che non attiene alla pura e semplice comprensione dei bisogni dell'altro. Astensione dal giudizio. Lasciar emergere quello che il mio interlocutore ha in sé, cercando di percepire esattamente la sua emozione. 


La mia risposta deve essere influenzata da ciò che posso fare per favorire il suo "star bene" senza giudicare i perché e i per come il paziente è in quella condizione. L'empatia come comunicazione non violenta che utilizza un linguaggio assertivo. Vale per tutti i "tipi umani", ho parlato del mussulmano perché a quanto pare oggi tentano di farci credere che sia un problema, ma il discorso vale anche per il contadino dell'entroterra ligure.
Non sono un vero scrittore e non ho esperienza, ma nel mio romanzo ho cercato di delineare i personaggi sulla falsa riga di quello che mi capita di fare tutti i giorni, non sempre con successo.
Ho lasciato che fossero loro a parlare, ho ascoltato le loro emozioni e quello che avevano da dire. Ho cercato di evitare di mettere in ballo quella che è la mia personalissima idea in merito agli argomenti trattati. Ho pianificato un tipo di narrazione dove le emozioni positive o negative sono slegate dal narratore, ma sono riconducibili solo all'agire dei protagonisti. Ovviamente non avevo nessun intento se non quello di dar voce il più liberamente possibile a dei personaggi, nessun piano terapeutico, nessuno scopo pratico da raggiungere.
Ci sono riuscito? Non lo so. Però ci ho provato. Forse, e dico forse, il miglior modo di scrivere (parlo di romanzi) è proprio provare ad astenersi dal giudizio e lasciare ai protagonisti della storia l'arduo compito di esprimere giudizi. Come in tutte le cose si va avanti per tentativi, si prova e si sperimenta. 
Vecchierelli, canuti e fragili, ci ritroveremo a raccontarci se alla fine saremo riusciti nell'impresa. Sarebbe già un grande successo esserci riusciti nella vita di tutti i giorni.

venerdì 30 settembre 2016

Insieme raccontiamo 13



Con molto piacere partecipo nuovamente al gioco di Patricia Moll:

Insieme raccontiamo 13° episodio

E' necessario proseguire il racconto partendo dall'incipit di Patricia con un limite di 300 parole o 300 caratteri

Qui il link che rimanda all'iniziativa

Un raccontino preparato in fretta e furia. Spero risulti comunque gradevole


L'incipit di Patricia:

Seduta sulla poltrona, alzò gli occhi dal giornale. L’articolo le aveva fatto capire cosa doveva cercare per ottenere quello che voleva.
Lo posò, si alzò e così come era in casa uscì dirigendosi verso….

Il mio finale:

... la strada sottostante verso il negozio dietro l'angolo. L'annuncio pubblicitario del giornale locale parlava di grossi sconti. Entrò come una furia.
«Presto, la mia bambina torna da scuola e non mi trova.»
Il commesso guardò stranito quella donna così agitata. Non commentò, si mise a disposizione.
«Voglio quei nastri azzurri in vetrina.»
Il commesso li prese e li porse alla donna. Lei in tutta fretta pagò.
«Mi scusi sa, devo scappare, mi scusi, ho paura di non fare in tempo.»

Era quasi l'alba. Una mano scosse la spalla della Dottoressa Guidi afflosciata su di una sedia metallica.
«Dottoressa, dottoressa, si svegli. Credo che ci siamo.»
Lavorava in quell'ospedale, era lì non come medico di reparto ma come figlia. Aveva sognato sua madre. Dal monitor si potevano vedere tutti i parametri vitali precipitare. Avevano concordato di non rianimare la mamma. Era allo stadio terminale della malattia. Il cancro l'aveva resa uno scricciolo fatto di pelle e ossa. Un lungo e impietoso Calvario.
La dottoressa Guidi, senza curarsi di chi le stava intorno, si sedette sul letto, poi con delicatezza mise una mano dietro la schiena della madre e senza sforzo la sollevò sino a portasela al petto. Con il mento sopra la spalla pianse silenziosamente. Sentiva i contorni delle ossa del torace, l'odore di malattia e morte. Un grido accennato, sibilante, le uscì dalla bocca. Chiese perdono. Per non esserci mai stata in tutti quegli anni, per la poca pazienza nei suoi confronti. Chiese perdono.
Era una mattina di marzo quando si svolse il funerale. La dottoressa si sorprese di quanto fosse piacevole quel vento capriccioso, di come fosse bello il tepore dei raggi del sole che annunciavano la primavera.
Aveva voluto rimanere sola per un ultimo saluto. Mentre si asciugava le lacrime si avvicinò una bambina tenuta per mano dalla nonna. La bimba la guardò con un mezzo sorriso, intenerita da quell'adulto che piangeva. Senza una parola si sciolse i codini e mise in mano alla dottoressa i nastri che le legavano i capelli. Fece un ultimo sorriso e se ne andò. La dottoressa Guidi, prese i due nastri e se li portò al volto per sentirne il profumo. Grata per quel gesto di gentilezza, mise nella borsetta i due nastri azzurri, identici a quelli del sogno. Si allontanò inspiegabilmente più serena.

lunedì 19 settembre 2016

Fronte del porto, ovvero di scribacchini genovesi e altre facezie


Molto bene, dopo quasi un mese torno a pubblicare un post. Ho però partecipato all'attività della blogosfera come semplice visitatore e commentatore.
Non è stato un mese improduttivo, anzi, oltre alle solite incombenze della vita, ho terminato la stesura del nuovo romanzo. Mancano i necessari accorgimenti per renderlo qualcosa di ben strutturato, ma ci siamo, è pronto. Ora ricomincia la solita trafila per proporlo e sperare che risulti degno di pubblicazione.
E JOSHUA
Joshua vive. È un romanzo che mi ha dato molta soddisfazione. Non ha sicuramente avuto il successo di vendite che un autore spera sempre di riscontrare, non ho nemmeno dati utili da fornire perché il mio editore non me li ha ancora forniti, però, perché c'è un però, il successo è arrivato comunque.
Il successo già, questa chimera. Cosa è il successo?
Per quello che mi riguarda, al di la dell'aspetto economico di cui tra l'altro non ho ancora avuto riscontri tangibili, per quello che mi riguarda, dicevo, l'aver ottenuto l'attenzione e il sostegno di tante persone mi ha fatto sentire già ricco.
Ho ricevuto mail di sconosciuti che si complimentavano, più donne a dire il vero. Mi sono arrivati messaggi da parte di lettori che in modo costruttivo hanno voluto chiarimenti in merito ad alcuni passaggi del romanzo. Con grandissima sorpresa mi sono state regalate recensioni assolutamente inaspettate e gradite. Ho visto il mio romanzo ospite di vetrine che blogger squisiti hanno voluto offrirmi senza che io lo avessi chiesto e senza nulla pretendere in cambio.
Quello che mi ha colpito profondamente è stato vedere altri autori che sprecavano tempo e parole per diffondere un'opera che non era la loro. Ho provato emozioni fortissime nel leggere le parole di chi si è preso la briga di raccontare i propri sentimenti dopo la lettura del mio romanzo.
Non parliamo di grandi numeri, ne sono sicuro, ma ritengo di poter parlare a ragion veduta di successo. Successo perché chi mi ha letto si è divertito, si è commosso, ha riflettuto. Questo per me è il segno di ciò che io considero successo. Il resto, gli aspetti più ridondanti e di valenza economica non potrebbero minimamente bilanciare la grande soddisfazione di un esordiente che ha desiderato dire la sua nel mare magnum dell'editoria e ha ottenuto dei riscontri così umanamente significativi.
Dico grazie a tutti. Non sono in grado di dire se di questo scribacchino che vi sta tediando riusciremo a farne uno scrittore vero, però grazie. Per il sostegno, l'affetto, l'incitamento a far meglio.
La lista delle persone da ringraziare è lunghissima, QUI trovate il link di tutti i recensori. Ma non dimentico nemmeno coloro che si sono presi la briga di mandarmi mail o contattarmi privatamente su FB, linkedin o quant'altro.
L'aspetto più triviale di questo post non può essere escluso, infatti, QUI e QUI, ci sono i link per acquistare Joshua su  ibs e Amazon.
Un anno dalla pubblicazione, quasi, un anno ricco di soddisfazioni e piacevoli incontri di persone fantastiche. Pochi, pochissimi gli incontri poco produttivi, ovviamente guardando la mia barra laterale di sinistra è facile capire che io per primo ho supportato molti altri autori.
Non voglio fare una lista perché mi sembra pura piaggeria, ma chi mi è stato vicino sa bene, molto bene, che ha un pezzetto del mio cuore nelle sue mani, altro non posso donare.
Per il resto … chi vivrà vedrà. Fine della tiritera.
Uh, vi ho sfiancato con tutte queste chiacchiere? E vabbè su, forza, poi passa. Chi ha avuto modo di conoscermi un po' meglio sa che dietro l'apparenza di casinista e cazzaro c'è una persona sincera.

Alla prossima.





© 2016 di Massimiliano Riccardi

martedì 30 agosto 2016

Insieme Raccontiamo 12. Finale horror, hard, snack, trak, blok, quello che volete voi



Eccoci qui, ancora una volta partecipo con gioia alla bellissima iniziativa di Patricia Moll e del suo gioco di aggregazione "Insieme Raccontiamo" che in questa puntata festeggia un anno di spensierate facezie e intelligenti scambi tra blogger che hanno voglia di mettersi in gioco con spirito di gruppo e, seppur virtuale, sentimento di amicizia.
Ora… voglio sorvolare sulla devastante immagine che alcune blogger hanno voluto fornire del sottoscritto, manderò loro il conto dell'analista hahahahahaha. Mi sono molto divertito a leggere gli interventi di tutti/e. Propongo un finale folle, com'è nel mio stile. Spero possa strappare un sorriso ai coraggiosi lettori.
E ora via al ballo.

L'incipit di Patricia
Su una spiaggia, due uomini sulle loro sdraio, sussurravano. Uno dei due chiese all'altro: - E i due desaparecidos?
-Chi? Il Pg e il Mich? I fantasmi di quel blog.. come si hiama... Fanno le sabbiature – e indicò due cumuli di rena da cui spuntavano solo i piedi ad una estremità e i cavetti collegati a due ipod dall'altra. - ma... shtttt! Che se ci sente....
- Mou belin! Ma vuoi che ci senta fin qua? Mica sa dove siamo..
- Eh...miha sa dove siamo.... Maremma proustiana! Non mi fido. Ha orecchie e occhi dappertutto. Mai fasciassi la testa prima d'avella rotta ma....
- Uhm... c'hai ragione, belin.. Ti ghe ragiun
- E poi tu lo sai... home rompe i hohomeri quella, miha li rompe nessuno
- Speremu!
- Eggià! Un se ne pòle più!
Anche i due cumuli di sabbia ebbero un movimento sussultorio. Pure i desaparecidos tremavano a quella possibilità.
In quel momento, si alzò uno strano vento. Tutto era immobile. Non un granello di sabbia si spostava ma verso di loro avanzò un venticello rovente che fece cadere ai loro piedi un foglietto.
Incuriositi lo presero e lo lessero. Sbiancarono.
C'era scritto

Terrorizzati si guardarono attorno.
- Nooooooooooooooooooo!!!!! - urlarono all'unisono.
Al loro grido, i due cumuli di sabbia scoppiarono come geyser buttando sabbia a metri d'altezza.
Il Pg e il Mich furono dritti, bianchicci come latte solo i piedi arrostiti dal sole, in mano piadine e arrosticini.
Guardarono nella direzione indicata dagli altri e videro...

Il mio finale
e videro …
… sorgere dal mare una piattaforma di acciaio luccicante, una volta che le acque l'ebbero abbandonata, delle figure vestite di nero e dagli occhi rossi lampeggianti si stagliarono sul bordo della struttura terrificante. Improvvisamente un urlo feroce scuote la calma apparente.
«STAKKA BLOGGEEEEEER, A ME!!!!!»
Era la temibile Patricia Moll, teschi sbiancati dal sole di blogger assenteisti adornavano la sua cintura, al fianco la spietata Glò detta "la vecchia segugia della blogosfera". La sua tuta di pelle nera era stata cucita con l'epidermide di numerosi blogger polemici, inseguiti, catturati e uccisi nel corso degli anni. Subito dietro Marina, chiamata "l'Amazzone del 31 dicembre", detta così perché se sbagliavi un congiuntivo era la fine dei tuoi giorni, scuotendo la testa e digrignando i denti caricava il suo fucile a pompa spara penne e calamai. Poco a poco tutte le altre componenti dello squadrone della morte si avvicinarono al bordo della piattaforma: ReginaZalieva, dal canto stordente e ipnotizzante; Marina Zanotta, con le sue trappole di colla e carta da rifascio; Federica Redi dallo sguardo che ti riduce a statua di ghiaccio. Molte altre cacciatrici-guerriere si avvicinarono pronte a lanciarsi in mare per raggiungere la spiaggia di nudisti, effimero rifugio del Vecchio Ivano detto "svrdbnv" in una lingua segreta parlata in altrettanto segreti circoli esoterici, del Meno Vecchio Max detto "il conciso", e dei due improvvidi latitanti Mik & PG completamente ricoperti di rossetto, frutto di languidi baci di centinaia di ninfette adoranti.
A quella vista i quattro, completamente nudi, incominciarono a fuggire. Sabbia scalciata, sdraio rovesciate, ombrelloni abbattuti, vecchiette in costume adamitico che tentavano di immobilizzare Mik & PG, psichiatri in ferie che guardando L'Ivanone e il Max prendevano appunti … il caos.
Una musica sempre più alta incominciò a udirsi: la cavalcata delle Valchirie.
Tra le onde, le cacciatrici nuotavano con foga incitandosi l'una con  l'altra emettendo urla belluine. Volevano il sangue. Ehem,  in alternativa un Caipiroska, in ogni caso qualcosa avrebbero avuto … il bar della spiaggia era aperto.
I primi a cadere furono Mik & PG, le nonnine erano in realtà agenti in incognito della Stakka Blogger Inc. appostate lì da mesi. Una fine orribile, devastati da coccole e buffetti e ingozzati sul posto da fette giganti di torte di mela. Urla agghiaccianti. L'orrore allo stato puro. Il povero PG in un ultimo momento di lucidità recitò il teorema di Pitagora cercando conforto da quello strazio. Mik perse conoscenza e fu attraversato dai ricordi di tutta la serie in lingua originale di Jeeg Robot d'acciao.
Il Vecchio Ivano e Max il conciso trovarono rifugio in una cabina. Appesi e in bella vista due impermeabili.
«Ivanone, siamo circondati indossiamoli e cerchiamo di distrarle, poi approfittiamo della confusione e fuggiamo.»
«Ma come, mio parco di parole e timidissimo amico?»
Max indossò l'impermeabile, e come nella migliore tradizione dei celebri Don Giovanni genovesi, aprì all'improvviso mostrando con un cenno del capo la sua propaggine più segreta.
«Eeeh? Che te ne pare Ivanone
Il vetusto e consumato blogger Ivano guardò giù scuotendo il capo.
«Caro reticente e stringato amico … che dire … INFINITESIMALE!!!!»
Piccato dall'ingiusta valutazione dell'anziano blogger, Max invitò l'amico a fare altrettanto.
Ivano non si fece pregare, in un lampo aprì l'impermeabile invitando il giovanissimo amico a constatare.
«Ivanone … che dire … one one, sarà merito dell'acqua di toscana o del polline di cipresso… perbacco… one one.»
Il vecchio Ivano tralasciò di raccontare che il suo antico compagno di baldoria Henry Miller si era ispirato alle sue gesta nello scrivere molti dei suoi romanzi.
«Comunque non è cosa!» Disse Ivano.
«Non ci resta che la resa. È finita.»
I due poveretti aprirono la porta della cabina. Con il volto sferzato dal vento rovente di un agosto implacabile, ammirarono la compagine serrata delle Stakka Blogger. Erano pronti ad affrontare le conseguenze dei loro atti. Con un gesto di sfida alzarono i menti e offrirono i polsi alle catene.
Uscì dal gruppo la tremenda Patricia Moll, subito dietro l'implacabile Glò sogghignava mentre sgranocchiava crudele le ditina mozze di un blogger incauto catturato la sera prima.
«In virtù del valore dimostrato e dei trascorsi onorevoli, abbiamo deciso di commutare la vostra pena. Non più la morte. Per Ivano tutta la retrospettiva dell'ispettore Derrik con sottotitoli in genovese. Per Max la lettura di 50 sfumature di grigio con commenti a piè di pagina di Federico Moccia
I due rimasero basiti, l'aver salva la vita apparve all'improvviso una cattiveria disumana.

«AAAAAAAH!!!!» Max si svegliò di colpo. Era stato solo un sogno, un brutto incubo. Si voltò e vide il vecchio Ivano che ancora addormentato borbottava nel sonno, invero altri suoni furono emessi. Decise di alzarsi da letto e prepararsi un caffè, prima però volle accendere la televisione. Rimase di ghiaccio. Una figura apparve sullo schermo. MARINA, l'Amazzone del 31 Dicembre. Con un ghigno satanico imbracciava un fucile a pompa e sogghignava crudele.
« Ghhahahahahahahahahaha»

Max svenne, cadde come morto corpo cade. La sadica risata fu coperta per un istante da un rimbrotto, Ivano fece trombetta. Lo schermo si spense.
         Fine.

domenica 21 agosto 2016

55 giorni a Pechino, ovvero Il signor Rossi nel far west 2. Caxxeggio semiserio, pseudo storico



Tempo di estate tempo di…
No, non di estaté, piuttosto di svago, caxxeggio, leggerezza. Problemi personali, drammi umanitari a parte.
Riprendo un discorso iniziato con il post intitolato "Il signor Rossi nel Far West, caxxeggio semiserio, pseudo storico" che trovate QUI. Voglio nuovamente occuparmi della presenza storica di Italiani nei posti più impensati e resi celebri dalla cinematografia americana. Presenza storica ignorata o citata sommessamente dai cineasti americani. Ovviamente la parte frivola è quella dedicata al film di cui vi parlerò, massimo rispetto invece per i veri protagonisti della vicenda che combatterono e morirono in terre lontane.
Nel 1963 esce il film " 55 giorni a Pechino" un Kolossal dai toni epici con attori del calibro di Charlton Heston, Ava Gardner, David Niven, John Ireland, e molti altri. Le musiche furono composte da Dimitri Tiomkin, compositore con all'attivo quattro premi oscar e almeno una decina di nominations.
Una piccola curiosità che segnalo per gli amanti del mondo Nippo è la presenza nel cast di un giovane attore e futuro regista: Juzo Itami, che sotto lo pseudonimo di Ichizo Itami interpreta il colonnello Goro Shiba. Per gli amanti delle arti marziali abbiamo il cinese Yuen Siu Tien maestro dei film di Kung Fu anni '70.
Il film, sicuramente sensazionale per quei tempi, di grande presa emotiva per le scene di massa e gli scontri cruenti e con l'immancabile intermezzo rosa dei protagonisti principali, riscosse molto successo.

 La storia prende il via da un fatto realmente accaduto nel 1900 nella Cina dominata dalla decadente dinastia Qing anche nota come dinastia Manciù: la rivolta dei Boxer.
L'influenza straniera, espressa dal colonialismo più becero, rischiava di ridurre la Cina come già erano ridotte l'africa e i restanti Paesi sotto il dominio delle nazioni europee. Uno scenario che vede l'imperatrice vedova Ci-Xi intimorita dalla potenza militare occidentale e resa debole dalle lotte intestine tra fazioni, totalmente succube e inizialmente connivente. La totale ingerenza negli appalti per la costruzione di infrastrutture, monopolio delle miniere, richieste sempre più pressanti di vaste zone territoriali gestite autonomamente dai Vari governi occidentali, disprezzo assoluto delle tradizioni e della cultura cinese con autentiche invasioni di missionari cristiani che addirittura pretendevano lo status attribuito ai cinesi di altissimo rango, come ad esempio la richiesta del 1899  di equiparazione dei vescovi cattolici ai Governatori Generali. La linfa vitale della Cina, il commercio interno e l'esportazione poco a poco stava passando nelle mani degli imperi e delle nazioni europee. Tutto ciò favorì il malcontento e la nascita di movimenti che cercavano di contrastare l'arroganza del "barbaro straniero".
La base sociale di questa presa di coscienza avvenne nelle scuole di Kung Fu, diffusissime e attive nella salvaguardia, tutela ed educazione del popolo. Le prime organizzazioni si dettero il nome di Yihetuan, ovvero "Gruppi della giustizia e dell'armonia". Questi gruppi di autodifesa, per altro già attivi da tempo immemore, con un'azzardata traduzione dei cronisti e dei missionari occidentali vennero assimilati a dei banali centri di addestramento pugilistico, il passo per ridurre tutto alla denominazione di Boxer fu semplice.
Il disagio sociale e le rivendicazioni del popolo sfociarono in vere e proprie rivolte armate con eccidi di europei, sabotaggi di industrie gestite da occidentali, omicidi di cinesi convertiti al cristianesimo, sino ad arrivare all'uccisione per le strade di Pechino del plenipotenziario tedesco barone Klemens Freiherr von Ketteler e  all'assalto e conseguente assedio del quartiere delle ambasciate a sud della "Città Proibita" centro nevralgico del potere Imperiale. Per la prima volta l'esercito imperiale, con il tacito consenso dell'imperatrice, si schiera con i rivoltosi capeggiati dai temibili Boxer.

Battaglie cruente e massacri fecero della capitale del "celeste impero" un luogo di sangue e di morte. Questo è in buona sostanza l'antefatto di questo kolossal.
Il film è comunque godibile, seppur narrato dal punto di vista occidentale, dove i "bianchi", come al solito sono i buoni.
Cosa c'entrano gli Italiani? Perché sostengo che la cinematografia americana ci ha sempre snobbato, per lo meno nei film prima degli anni '70? Perché cavoli, oserei dire stracavoli, in quelle vicende storiche così lontane c'era anche il signor Rossi, anzi, moltissimi signor Rossi. Nel film vediamo solo aitanti Marines, gentiluomini inglesi, baronesse russe, granitici tedeschi, ecc.. E noi? Qualche fugace apparizione, una fanfara dei bersaglieri alla fine sullo sfondo, come se niente fosse … e sticazzi, direbbe un fine dicitore, non fummo solamente comparse, oibò, perdinci e pure per Giove. Dati alla mano:
- un battaglione di fanteria
-un battaglione di Bersaglieri
-una batteria di mitragliatrici
- un ospedale da campo
-un distaccamento del Genio Militare
-un drappello di Carabinieri
- Forze di marina sbarcate dalla Torpediniera "Calabria" e dall'incrociatore "Elba"
Si stima che i combattenti dei battaglioni a ranghi ridotti e delle altre forze ammontassero a 83 ufficiali e a 1882 tra sottufficiali e truppa, queste le cifre del corpo di spedizione inviato dal governo Italiano in soccorso alle Ambasciate.
Gli scontri iniziali e l'immediato contatto con il nemico videro come protagonisti  i marinai delle navi all'ancora e dirottati velocemente a protezione degli europei.
Gli Italiani si distinsero, oltre che nella tutela delle Legazioni straniere anche nella difesa della cattedrale di Pe-Tang dove si erano rifugiati circa 3500 civili. Rimasta isolata, lontana dal resto delle truppe europee e accerchiata da soverchianti forze nemiche, 41 marinai resistettero, insieme a centinaia di civili abili alle armi. Combatterono ferocemente, respingendo a più riprese gli attaccanti sino all'arrivo dei soccorsi.
I caduti furono: Vincenzo Rossi, sottocapo; Filippo Basso, cannoniere scelto; Cesare Sandroni, cannoniere; Alberto Autuori, cannoniere; Ovidio Painelli, trombettiere; Ermanno Carlotto, sottotenente di vascello; Leonardo Mazza, marinaio; Francesco Zola, cannoniere; Giuseppe Boscarini, marinaio; Francesco Melluso, cannoniere scelto; Antonio Milani, sottocapo cannoniere; Francesco Manfron, cannoniere; Pietro Marielli, sottocapo cannoniere; Damiano Piacenza, cannoniere scelto; Adeodato Roselli, cannoniere scelto; Luigi Fanciulli, cannoniere; (?) Danese, marinaio; Giovanni Colombo, marinaio.




















Bene, spero che questo intermezzo storico cinematografico vi sia piaciuto. 
Ovviamente ho dovuto necessariamente condensare e riassumere. Confido di essere riuscito a rendere interessante questo post coniugando un film finito quasi nel dimenticatoio e un fatto storico oramai lontano nel tempo e riposto in un cantuccio remoto della memoria collettiva del nostro Paese.

Buon proseguimento e buona estate a tutti.




© 2016 di Massimiliano Riccardi